La morte di Michael Jackson – a tre settimane dal suo attesissimo debutto a Londra, con una serie di concerti – porta con sé un surplus di tristezza e decadimento davvero rari. Soltanto Elvis Presley, nella storia della musica moderna, morì solo come Michael. Ucciso, come lui – diventato nel 1994 suo genero, visto che ne sposò la figlia Lisa Marie Presley – da un mix di farmaci, mentre cercava di riscattare se stesso. Elvis aveva 42 anni, Jackson 50. Eppure, la vita di Michael – a ben vedere – è stata molto, molto più breve. Cresciuto da suo padre come una «macchina da spettacolo», non ha mai conosciuto l’infanzia. A 5 anni cominciò a cantare «da professionista» nei Jackson 5 con i fratelli, ricevendo cinghiate ogni volta che sbagliava un’intonazione o un passo di danza. Bicicletta, corse, basket e calcio, gli erano praticamente proibiti. Doveva cantare e ballare. Andò avanti così fino alla fine della sua adolescenza, riportando profonde ferite nella sua psiche.Il primo vero successo, «da solo», arrivò quando aveva 19 anni. Ma esplose nell’82, con Thriller, quando ne aveva 23. Per i successivi undici anni fu l’incontrastato re del pop mondiale. Il più grande di tutti. Per alcuni, addirittura «il Mozart del XX secolo». Guadagnò soldi a palate (ha venduto quasi 750milioni di dischi) e ne spese moltissimi per cercare di comprarsi quella felicità che gli era stata a lungo negata. Come ogni bambino viziato si costruì un parco giochi privato, ma il suo era grande quasi quanto Disneyland. Ciò che gli mancava erano i veri amici. Bambini come lui. Solo che lui bambino non era più. Da un pezzo. Eppure, anche in certe sue canzoni, sembrava ossessionato dal mondo dell’infanzia. Fa venire i brividi ripensare che nel 1992 creò la Heal the World Foundation per aiutare i bambini sfortunati (donandole negli anni 100 milioni di dollari) e, solo un anno dopo, nel 1993, fu accusato di molestie sessuali da un ragazzino.Michael negò. Sempre. Ma pagò per far chiudere velocemente il caso. Col risultato di vedere moltiplicate, di lì in avanti, le accuse contro di lui. Da quel momento la sua stella si offuscò per sempre. E di colpo tutte le sue «stranezze» diventarono macigni che lo schiacciarono. Perché Jackson era «uno strano». Uno che aveva cancellato il più possibile i suoi tratti somatici e la sua pigmentazione afroamericana (anche se cercò di difendersi sostenendo di essere stato colpito da una rara forma di vitiligine). Uno che si chiudeva in bare di cristallo piene di ossigeno puro e che si era sottoposto a numerose operazioni di chirurgia estetica per rendersi «invincibile», come si era autoproclamato nel 2001, sperando di convincere il mondo che lui era «rinato».Di fatto, però, il re del pop Michael Jackson era già morto anni prima, in quel disgraziato 1993. Dopo undici anni di vita al massimo. E a ben poco erano serviti i suoi due matrimoni (nel 1994, un anno dopo lo scandalo, con Lisa Marie Presley, la figlia di Elvis e nel 1996 con l’infermiera Debbie Rowe). Ormai, il suo trono era caduto. Se ne accorse definitivamente quando, nel 2003, la polizia di Santa Barbara sequestrò il suo Neverland Ranch e gli spedì un mandato d’arresto per abusi sessuali su minori. Un ulteriore colpo, dal quale non si riprese più. Almeno fino all’offerta di fare nuovi concerti a Londra, quest’estate, per salvarsi da quasi 500 milioni di dollari di debiti. Li annunciò ad aprile, con un’apparizione lampo di un minuto. In poche ore i biglietti andarono esauriti. La gente voleva vederlo ancora una volta in scena. Per osannarlo o soltanto per vedere, almeno una volta, il «fenomeno». Nessuna società però accettò di assicurare gli organizzatori in caso di una cancellazione improvvisa dei concerti di Jackson. Non si fidavano più. Intanto lui, per «combattere lo stress» del momento (come ha detto il suo portavoce), ingeriva farmaci di ogni tipo. Alla ricerca di una normalità che non aveva mai vissuto.