Ne ha parlato tanto da far sorgere una domanda insensata: ma la misericordia l’ha inventata lui? Lui, naturalmente, il Papa, Francesco – o della Misericordia, si potrebbe aggiungere – visto che non perde occasione per parlarne, darne prova, metterla avanti a tutto, fino a costruire intorno a essa un pontificato che, come il Giubileo appena concluso, ha già il carattere di straordinario.
Chiamata in causa con tanta ostinazione e insistenza, la misericordia al tempo di Francesco, è diventata anch’essa un sentimento in uscita una “virtù” passata dalle pagine del catechismo alla vita vissuta, dai testi di dottrina alle strade. Un cambio di passo che continua a stupire perché, gettata nella mischia, essa è riuscita a farsi largo, è diventata la presenza nuova e inaspettata di tempi che non sembravano fatti per lei. E che, anzi si affannavano a trovare pretesti per tenerla lontana, mettendo in campo, per contrasto, l’armamentario dei suoi surrogati: il buonismo, la vaghezza, quel suo conflitto mai risolto con la giustizia, alla quale farebbe nientemeno che da contraltare.
Spropositata poi, si riteneva, la distanza tra i drammi e le tragedie di un mondo che non trova pace – tra guerre, seppure combattute “a pezzi”, terrorismi di ogni tipo e le onde di migrazioni forzate da un capo all’altro di continenti – e quel semplice “sentire” rinchiuso in qualche bella e inoffensiva coscienza. Non l’ha inventata Francesco, perché senza misericordia la Chiesa non esisterebbe e non potrebbe neppure vivere, ma certo è stato lui a proporla al mondo in termini nuovi, sotto forma, alla fine, di necessità, anzi di urgenza, di qualcosa di cui non è possibile fare a meno.
Ed è così che è cambiato tutto, ed è stato così che la misericordia ha finito per indicare la strada di Lampedusa e di Lesbo, quella delle carceri e dei luoghi di sofferenza, dall’altra parte del mondo, o sotto le finestre di casa, lungo il colonnato del Bernini, diventato anche presidio di carità e accoglienza. E si è spinta poi, la misericordia, oltre i suoi stessi confini naturali, non preoccupandosi di invadere il campo della diplomazia, dell’ecumenismo (l’uno e l’altro obiettivo al centro dello storico incontro a Cuba con Kirill, il patriarca ortodosso russo).
Nell’anno del Giubileo straordinario, Francesco l’ha portata davanti a tutte le soglie, perché le varcasse lei per prima e preparasse la strada per tutti, spianandola per gli ultimi della fila, chiamati al passo avanti di una dignità da ritrovare. Sono stati i momenti in cui è parsa rinascere la «primavera del Concilio» con la misericordia insediata in pianta stabile nella prassi pastorale di una Chiesa che, proprio attraverso di essa, aveva rivolto all’umanità uno sguardo più cordiale e profondo.
Affacciata al mondo dalla grande finestra del Concilio, con Giovanni XXIII che inaugurava il tempo nuovo dell’apertura e del dialogo, rinvigorita dalla sapienza e dalla dottrina di Paolo VI, la misericordia ha continuato, dopo il sorriso breve di papa Luciani, a guidare i passi della chiesa di Giovanni Paolo II (il pontefice della Dives in misericordia) e di quella di Benedetto XVI. Un lungo cammino, il filo di una continuità mai interrotta, che tuttavia ha ora in corso il capitolo più audace: non più (e solo) il richiamo sentimentale e virtuoso alla misericordia, ma la sua messa in opera concreta, intensa e senza soste nel cantiere di costruzione del mondo nuovo globalizzato, malfermo sulle gambe e ancora più sui valori, stretto com’è nella morsa dei numeri.
Anche la misericordia porta, a sua volta, una cifra a corredo: le sue Sette Opere, che il pontificato di Francesco e l’anno giubilare hanno fatto vivere una a una, come un ripasso sul campo di tutte le forme di carità possibile. Si è respirato il clima del Concilio, ma si sono sfogliate, via via, le pagine di un Vangelo vivo. Perché le opere di misericordia hanno infine una matrice riconoscibile, il Discorso della montagna – summa di tutte le misericordie – di cui è copia conforme e foglio di lavoro aggiornato per l’umanità del terzo millennio. P.S. Ho trovato in un discorso del 2011 del cardinale Bergoglio a Buenos Aires, un’espressione decisamente profetica se rapportata al bilancio di tutt’altro genere che qualche giornale, molto attento ai dati di Federalberghi e per nulla a quelli dello Spirito, ha fatto del Giubileo straordinario della Misericordia. Bergoglio si rivolge a coloro che si dedicavano a rivestire la realtà di «lutto statistico». «Si direbbe – aggiungeva – che mastichino cenere». Che avesse messo, già d’allora, le mani (e il cuore) avanti?