Il responso dei quattro referendum è chiaro, chiarissimo. Così come gli effetti della sua studiata politicizzazione. Ma proprio la spinta a iperpoliticizzarli ha finito per far assumere anche un altro significato ai loro esiti, un senso inaspettato tanto quanto il superamento di forza – dopo sedici anni di insuccessi diversamente motivati e spiegabili – della soglia del quorum. È questo, probabilmente, il messaggio più importante emerso dalla primavera elettoral-referendaria delle "sberle" che sta volgendo al termine e che accompagna quell’agognata «fase nuova» della politica italiana che nel Paese reale, di fatto, si è già aperta.L’immagine delle "sberle" può anche sembrare forte, ma è la stessa che da settimane affiora nei commenti e nelle (poche) autocritiche di tre successivi dopo-voto. E forte è soprattutto la realtà che fotografa e segnala. Nelle urne ma – prima ancora – nei circuiti associativi e nei circoli formali e informali, nei passa-parola di piazza e di internet, si è messa in moto una vera e propria "macchina delle sberle". Oggi la dose maggiore è toccata indubbiamente a chi governa – la coalizione Pdl-Lega e il suo leader Silvio Berlusconi – ma i destinatari potenziali sono un po’ tutti i protagonisti della scena politica nazionale. Chi pensasse di poter sostenere tranquillamente che le "sberle" arrivate dal corpo elettorale, in fondo, riguardano solo altri, avrebbe già cominciato a prenotare, in dose massiccia, la prossima serie. La "macchina delle sberle" è, infatti, alimentata da attese deluse e da una miscela di preoccupazioni e di esigenti indignazioni che hanno un bersaglio principale, ma non risparmiano nessuno e quasi pretendono interlocutori nuovi e credibili.È con sollievo che posso fare ammenda per un eccesso di pessimismo nutrito alla vigilia. Il risultato del voto del 12 e 13 giugno suona, in effetti, come una risposta scomoda e seria a quella che avevo definito la «vera domanda» posta agli italiani con questa consultazione: vi fidate o no dei valori e delle preoccupazioni che concretamente guidano coloro che amministrano lo Stato centrale e le realtà locali oppure temete che quei poteri possano essere usati "contro" il bene comune e a fini personalistici e privati, cioè a spese del non mercanteggiabile interesse di ogni cittadino (e soprattutto dei più deboli) di vedersi garantiti beni, servizi e standard civili essenziali nonché una progettazione saggia e sicura del futuro energetico di tutti? Beh, la risposta è stata una dichiarazione di sfiducia e un richiamo al dovere. Ed è appena l’inizio di un discorso. Al quale un grande contributo è venuto e potrà ancora venire dai cattolici italiani, che hanno le idee chiare su ciò che negoziabile non è (a cominciare dal rispetto pieno della vita umana e della sua permanente dignità e dalla valorizzazione del bene rappresentato dalla famiglia) e sul tanto e buono che, su quella solida base, si può fare con compagni di strada altrettanto onesti e chiari nel voler costruire un Paese più giusto, umano e capace di uscire dalla sindrome (e, quasi, dalla voluttà) del declino.Per intanto, però, bisogna prendere atto di due realtà. Da una parte, c’è un fatto che condizionerà per almeno cinque anni scelte di governo e iniziative parlamentari in tema di acqua, di energia (non solo nucleare) e di iniziative legislative suscettibili di essere definite
ad personam. Dall’altra, c’è un annunciatissimo parapiglia attorno al governo Berlusconi, tutto giocato sui registri dell’intimazione a dimettersi rivolta al premier (che era oggettivamente tirato in ballo dal quesito sul "legittimo impedimento" e che aveva invitato a non votare) e del corteggiamento da parte delle due diverse opposizioni di Pd e Udc nei confronti di una Lega Nord irrequieta e prossima a riunirsi a Pontida. Un parapiglia dagli esiti incerti e che potrebbe servire solo ad aumentare il potere di coalizione dei leghisti. E dal quale, a suo modo, tende a sfilarsi Antonio Di Pietro, lesto a suo tempo a impegnare l’Idv tra i referendari della prima ora e, oggi, altrettanto lesto a riconoscere nella partecipazione al voto di una parte non piccola né casuale anche di quello che si è soliti definire «elettorato di centrodestra» un evento non strumentalizzabile a puri fini tattici. Di Pietro ha ragione: la trasversale forza del messaggio delle urne è il punto. E le nostre cronache lo registrano a dovere. Vale, perciò, la pena di ripetersi: c’è una vasta e crescente insofferenza per la qualità della politica attuale e nessuno degli attuali protagonisti della scena politica – né i partiti di governo (che non entrano certo solo ora in difficoltà) né tutti gli altri (che non hanno ancora risolto la loro) – può illudersi che il fenomeno sia passeggero. Il fenomeno comincia adesso.