In altre parole, la sussidiarietà e la fiducia funzionano veramente quando sono rischiose e vulnerabili. Se dovessimo disegnare una moneta delle relazioni umane a tutto tondo, su un lato rappresenteremo le gioie dell’incontro libero tra gratuità, dall’altra le tante immagini delle nostre ferite che hanno generato quelle gioie. Ma – e qui sta un altro paradosso del nostro sistema capitalistico – la cultura che si insegna in tutte le business school, odia la vulnerabilità, la considera il suo grande nemico. E per molte ragioni. La civiltà occidentale ha operato attraverso i secoli una netta separazione tra i luoghi della buona e quelli della cattiva vulnerabilità. Non ne ha accettato l’ambivalenza e così ha creato la dicotomia. La buona vulnerabilità capace di generare benedizione l’ha invece associata alla vita privata, alla famiglia e alla donna, che è la prima immagine della ferita generativa. Nella sfera pubblica, interamente costruita sul registro maschile, la vulnerabilità è sempre cattiva. Così anche la vita economica e organizzativa si sono fondate sulla invulnerabilità. Mostrare ferite e fragilità nei luoghi di lavoro è solo e sempre un disvalore, inefficienza, demerito. Gli ultimi decenni di capitalismo finanziario hanno accelerato la natura invulnerabile della cultura lavorativa nelle grandi impresi globali, dove ogni vulnerabilità deve allora essere espulsa. Il grande mezzo per eliminare la vulnerabilità nelle comunità è sempre stata l’immunità. L’immunità è oggi la nota principale delle grandi imprese capitalistiche. Ogni cultura invulnerabile è anche una cultura immunitaria: se non voglio essere ferito dalla relazione con te, devo impedirti di toccarmi, costruendo un sistema di relazioni che eviti ogni forma di contaminazione. L’immunità è l’assenza di esposizione al tocco dell’altro. L’immunitas è la negazione della communitas: l’anima della communitas è il munus (dono e obbligo) reciproco, quella dell’immunitas è l’ingratitudine reciproca, l’assenza e l’opposto del dono (in-munus, immune).
Tutte le società immunitarie sono radicalmente gerarchiche, perché aumentano le distanze verticali e orizzontali tra le persone per non farle toccare, e così poterle gestire e orientarle ai loro fini. La prima funzione della gerarchia è quella di non far mescolare le persone tra di loro (è questa l’origine della parola portoghese casta: non contaminata), di non far toccare tra di loro i diversi, ma solo i simili. In tutte le società castali-immunitarie è severamente vietato toccare i diversi perché solo gli appartenenti alla stessa casta possono e devono toccarsi tra di loro. Per questa ragione, le società castali conoscono poca creatività e innovazione, perché è sempre la biodiversità a essere generativa. È questa mancanza di contatti tra diversi una causa radicale di decadimento delle élite nelle società castali, comprese le nostre imprese globali. I movimenti mendicanti del Duecento e Trecento furono fattore di grandi innovazioni e generatività economica, sociale, politica e spirituale, scardinando l’ordine castale e immunitario del Primo Medioevo delle loro società, perché accolsero negli stessi conventi poveri e ricchi, persone di varie regioni e paesi. Quelle nuove comunità furono capaci di enormi innovazioni perché misero insieme mercanti e poveri, banchieri e artigiani, artisti e mistici. Quella biodiversità divenne creatività e innovazione, una innovazione che nacque dal non aver paura delle ferite, delle stigmate della fraternità. La fraternità è anti-immunitaria, come ci ha detto Francesco d’Assisi abbracciando e baciando il lebbroso – la solidarietà-filantropia è quasi sempre immune, la fraternità mai.
La radice di ogni civiltà immunitaria-castale è la gestione della distinzione fondamentale tra puro e impuro: ci sono attività, persone, cose che sono pure e possono essere toccate, e altre che sono impure e possono essere toccate solo dalle caste più infime. Ma in tutte le società castali-immunitari c’è anche una profonda interdipendenza tra le caste. Anche i bramini hanno bisogno dei paria (e viceversa), proprio perché a causa dell’immunità in queste società la divisione del lavoro è radicale. Ecco allora che è indispensabile la presenza di mediatori, che hanno la speciale funzione di mettere in contatto coloro che non possono toccarsi tra di loro. Si comprende, allora, perché le grandi imprese capitalistiche sono oggi l’immagine più nitida di società immunitarie-castali, e che i manager sono questi mediatori che mettono in contatto le varie "caste" dell’impresa senza che nessuno tocchi i diversi, gli impuri. Ci si tocca solo tra uguali (a volte troppo e male tra colleghi-e). I membri dei ranghi "inferiori" possono essere toccati dai superiori solo con strumenti e tecniche, non direttamente. Le grandi imprese sono sempre meno mescolate, anche quando le persone lavorano negli open space (dove restano ben separate nel potere e negli stipendi).
Smettiamo di essere generativi, in tutti gli ambiti, quando smettiamo di incontrarci e di abbracciarci, soprattutto con i poveri. Le persone perdono creatività quando col passare degli anni riducono contatti con i diversi. Qualcosa di simile sta accadendo anche per le élite delle organizzazioni, delle istituzioni e quindi anche delle imprese: la cultura immunitaria che le porta a non contaminarsi ne determina la sterilità e la decadenza. Molta parte della nostra generatività, energia, forza, dipendono dal contatto con altre umanità, culture, vite, corpi. La speranza e l’eccellenza nascono e rinascono dai luoghi promiscui del vivere, dall’incontro di umanità intere, dall’essere nutriti dai tanti cibi del villaggio. È all’orizzonte una profonda crisi del capitalismo, generata dal decadimento delle élite impoverite dall’immunità e non fecondate dalla buona vulnerabilità delle relazioni interamente umane. La paura delle ferite relazionali sta creando una cultura globale immunitaria, di cui le grandi imprese sono i grandi vettori globali. Per questa ragione, una grande sfida dei prossimi anni sarà allora la sopravvivenza stessa delle organizzazioni. L’apoteosi della cultura immunitaria-invulnerabile sarà infatti l’eliminazione delle organizzazioni, la scomparsa dei luoghi dove si con-vive e co-lavora, per creare al loro posto produzioni decentrate dove ciascuno lavora a casa propria grazie a tecnologie sempre più sofisticate. Consumatori senza negozi, banking senza banche, scuole online senza docenti e studenti, e magari ospedali senza infermieri e medici popolati da efficientissimi robot e telecamere. Sarà così raggiunta l’eliminazione definitiva della vulnerabilità, avremo finalmente trovato l’albero della vita, ma sarà un albero senza frutti, o con frutti senza sapore. E sarà la fame di frutti saporiti che ci farà ancora incontrare, abbracciare, vivere.l.bruni@lumsa.it