mercoledì 2 ottobre 2013
COMMENTA E CONDIVIDI
Sarà la crisi coi suoi debiti che ci fiacca, sarà una vita sempre più frenetica che – volenti o nolenti – ci tocca fare, sarà che certe notizie dai palazzi o cose che vedi per strada spezzano il respiro, sarà l’aver risalito settembre tra lavoro e speranza e disillusione, sarà anche il senso di sfiducia e di facile lamento che alligna nel Paese, ma di fatto sembra proprio che la fatica in giro sia tanta. La fatica, proprio quell’ombra contro cui l’uomo cosiddetto moderno ha lottato con tutte le forze prodigiose di invenzione, di rivoluzione sociale, di organizzazione. Per cacciarla, per eliminarla... Inventando marchingegni, protesi e supporti sempre più sofisticati per evitare la fatica fisica che lo piegava spesso in lavori tremendi.
Ma se pur la fatica fisica è stata in parte (e solo in parte, va ricordato) eliminata, ecco che si è affacciata una fatica ancora più avvilente, ancora più pervasiva e insidiosa. La fatica della mente, del cuore, della volontà – lo stress, come viene chiamato. Insomma, quell’affaticamento delle energie vitali, il logoramento delle spinte. Ognuno allora si domanda, magari alzando gli occhi contro le prime albe livide all’uscita da casa o dalla metropolitana o dal tram: da dove trarre la forza? È la stessa preghiera del Salmista antico. Non usciva dalla metropolitana, ma aveva in cuore la medesima domanda: «Alzo gli occhi verso i monti, da dove mi verrà l’aiuto?». Il problema dell’uomo è la forza. Per campare, per costruire la sua dimora, e per i suoi figli, per trasformare la vita in meglio. Ma appunto, cosa guardare per comprendere da dove viene la forza?
Un primo, elementare aiuto viene da una nostra compagna spesso dimenticata. La natura. In autunno, nel periodo in cui ci stiamo inoltrando, si vede iniziare un periodo di apparente riposo. Di stasi. Sembrano cessare le attività esteriori: gli alberi non offrono – tranne rare eccezioni – i loro frutti, i prati non lanciano i loro fiori, i fossi non ridono, le rondini se ne sono andate dai cieli bianchi. Ma si tratta del momento in cui la natura prende la forza, la traggono i semi riposando nel profondo, la cercano le radici allungandosi dentro al suolo. Insomma, la forza occorre avere il tempo di cercarla nella profondità. In qualcosa che sta sotto la superficie. In ciò che non appare.
Ma a volte, a molti, sembra che la profondità non abbia consistenza, non sia altro che illusione. Come se dietro le apparenze ci fosse solo nebbia. Un uomo che non ha radici nel profondo si stanca infatti più facilmente. Un uomo le cui radici sono sospese nel vuoto si essica, si indurisce nel vento arido della fatica. Perde forza. Una vita che non tiene per sé, come la natura in autunno, un tempo per raccogliersi cercando le forze nel profondo (quello che emerge anche in superficie, come un albero meraviglioso, senza radici non esisterebbe) è affaticata dai venti, anche dai meno impetuosi.
La natura manda segni agli uomini attenti, che uscendo dalla metropolitana o da casa, sentendo il bisogno di nuova forza alzano lo sguardo, e non frugano solo dentro se stessi ma cercano intorno, insomma 'chiedono', non sono presuntuosi. Per questo la natura è sempre stata un segno che ha invitato gli uomini a domandare di ricevere forza, un segno di una dimensione sacra dell’esistenza, per la quale da sempre l’uomo realista è colui che prega. Solo un presuntuoso, solo un uomo che «non deve chiedere mai», come recitava lo slogan di una vecchia pubblicità, ritiene di ricavare la forza da se stesso, fissando il proprio ombelico o lo specchio.
Questo è invece un tempo per uomini 'forti', che devono attraversare fatiche inaspettate, e sfide che non sapevano di dover affrontare. Dove trovare la forza, dove cercarla è il problema di ogni mattina. Di ognuna di queste mattine levando o no lo sguardo, sotto il cielo che cambia colore, nel gran teatro della natura e dei suoi segni.
© Riproduzione riservata
COMMENTA E CONDIVIDI

ARGOMENTI: