Acqua contro pietre. Acqua contro acciaio. Acqua contro cemento armato. È la battaglia che Milano ha ingaggiato da secoli. Un confronto sempre in bilico tra l’utopia positivista di uno sviluppo inarrestabile e la protervia di chi pretende di piegare tutto alla logica miope degli interessi immediati. Alla fine vince sempre l’acqua. Perché se non rispetti la logica mutevole ma implacabile della natura, se pretendi di nascondere e cementificare senza preoccuparti del futuro, di ingabbiare senza immaginare quale sarà l’esito per le generazioni che verranno, alla fine avrà sempre la meglio lei, la forza inarrestabile di un torrente-fiume che scorre e che, come il Seveso, può diventare improvvisamente prepotente e rabbioso.Verità semplice, forse troppo semplice, eppure ineluttabile. Avranno avuto modo di meditarla gli oltre centomila automobilisti provenienti da Monza e dalla Brianza che ieri mattina – tra le 6 e le 11, come capita tutti i giorni – hanno tentato di entrare a Milano. Improvvisamente si sono trovati di fronte un muro d’acqua limacciosa. Viali allagati, sottopassi impraticabili, un traffico che via via è diventato un groviglio inestricabile. Tutta la zona Nord della città è stata paralizzata dall’esondazione del Seveso. Danni gravissimi alle strade, all’arredo urbano, alle cantine e ai negozi dei milanesi. Conseguenze altrettanto pesanti per tutti coloro che sono stati bloccati al volante, impotenti e indignati, per un tempo che sembrava infinito, perdendo ore di lavoro. Un evento tanto eccezionale da non poter essere messo in preventivo? Ma non scherziamo. La furia repentina del Seveso è nota fin dai tempi dei Romani che per primi ebbero l’ardire di deviarne il corso e con le sue acque alimentavano le terme erculee di quella che sarebbe poi diventata piazza San Babila. Salvo poi subirne le disastrose conseguenze quando il torrentello diventava in pochi minuti un fiume in piena più violento di un’orda di barbari. Sono trascorsi duemila anni. Ma proprio là dove fallivano gli imperatori romani, continuano a balbettare anche oggi – pur con ben altri mezzi tecnici – i nostri amministratori. Sindaco e governatore della Lombardia, secondo le rispettive competenze, esattamente come hanno fatto i loro predecessori nell’ultimo mezzo secolo, si sono infatti limitati per quanto riguarda Seveso e dintorni a qualche inefficace intervento di contorno: canali scolmatori inefficaci, vasche di contenimento inadeguate, interventi di manutenzione sempre e comunque in ritardo se è vero che il Seveso, come il suo degno compare Lambro (ma fanno solo il loro naturale mestiere, sia chiaro), continuano da decenni imperterriti a impadronirsi ciclicamente di una parte della città. Non è questione di colore politico, le vie d’acqua milanesi non guardano in faccia a nessuno.Solo che in questi ultimi anni il ritmo delle esondazioni è diventato allarmante, con conseguente disagio dei cittadini che schizza verso la galassia dell’insopportabile. Tra il 1976 e il 2000 il Seveso è esondato 62 volte. Nel decennio successivo piccoli e grandi straripamenti sono diventati più di cento. Nel solo 2010 tre disastrosi allagamenti, l’ultimo costato oltre 70 milioni di danni, chiusura per dieci giorni di alcune stazioni della linea gialla della metropolitana, sospensione delle linee tramviarie e altre cosucce di minor conto. Insomma, una via d’acqua che nessuno finora ha saputo e voluto gestire in modo razionale. Abbiamo cementificato, mattonato, piastrellato, asfaltato e "impermeabilizzato" una città, dimenticandoci (come altrove, anche in situazioni totalmente diverse) dell’acqua. Una straordinaria ricchezza che, qui, nel cuore della grande pianura del PO scorre pochi centimetri sotto l’asfalto e che, sempre più spesso, ribolle rabbiosa e dirompente, vendicandosi della nostre sufficienze e della nostra pretesa onnipotenza. Possibile che, progettando le nuove vie d’acqua per l’Expo, poi parzialmente cancellate e oggi ancora in forse, nessuno abbia pensato che Milano già disponeva di una rete fluviale invidiabile? Non sarebbe stato saggio gestire al meglio, contenere con rispetto e saggezza, e magari riaprire in qualche tratto le vie d’acqua che già s’intersecano copiose sotto la città, invece di pensare a nuove opere che magari, poi, rischieremmo di non riuscire a governare? Forse sarebbe stato un progetto politicamente meno squillante, ma certo più utile per la città di oggi e di domani. Invece, purtroppo, tanti lustrini e poca concretezza. E i milanesi – come troppi altri fratelli d’Italia – sono qui, ad attendere la prossima piena.