La dottrina sociale della Chiesa è un insieme di insegnamenti che, pur basati sulla immutabile verità del Vangelo, si evolvono nel tempo tenendo conto delle diverse circostanze di ogni epoca. L’impulso maggiore per questa evoluzione è venuto dal magistero dei Papi e quasi sempre attraverso encicliche, diventate autentiche pietre miliari del magistero (prima tra tutte la
Rerum novarum). E Papa Francesco, in questi primi mesi di pontificato, con discorsi di grande forza e profondità sta già operando un ulteriore innesto sull’albero sempreverde della dottrina sociale.La conferma si è avuta venerdì ad Assisi, terza tappa italiana dei suoi viaggi e terzo "capitolo" di quella che forse non è improprio definire un’enciclica di fatto. A ben guardare un filo unico collega la visita di luglio a Lampedusa (tornata di tragica attualità dopo il terribile naufragio di giovedì), quella di settembre a Cagliari e l’omaggio a san Francesco nel giorno della sua festa liturgica. È il filo che potremmo chiamare della «custodia», parola molto usata da papa Bergoglio, probabilmente perché essa fonde insieme categorie spirituali e sociali e ha il potere di andare al cuore dei problemi che travagliano il nostro tempo. Si prenda ad esempio il "capitolo Lampedusa", che si iscrive nel grande alveo delle relazioni tra i popoli e tocca in special modo i rapporti tra il nord e il sud del pianeta (temi cari alla dottrina sociale, come testimoniano la
Pacem in terris e la
Populorum progressio). Sull’isola che fa da porta all’Europa il Papa, stigmatizzando la «globalizzazione dell’indifferenza», faceva notare: «Ci siamo abituati alla sofferenza dell’altro, non ci riguarda, non ci interessa, non è affare nostro». Esattamente il contrario della «vocazione alla custodia», che è invece il mandato di Dio. Anche a Cagliari, nel "capitolo lavoro", questa deriva individualista è emersa in tutta la sua drammaticità, con la condanna di un’economia e di una finanza che adorano "selvaggiamente" il dio-denaro e si dimenticano dei lavoratori e delle loro famiglie. Lavoro uguale dignità dell’uomo, ha ricordato invece Francesco, ricollegandosi così al solido insegnamento della
Laborem exercens. E dunque una società che nega il lavoro è una società senza dignità. Ma forse l’aggiornamento più evidente è venuto dal "capitolo Assisi", e in special modo dall’accorato discorso sul pericolo della mondanità, che è sì finalizzato a mettere in guardia da tale tentazione la Chiesa tutta intera, ma che ha innegabili riflessi anche sociali. «A questo mondo non importa se ci sono bambini che muoiono di fame – ha detto il Papa – non importa se tante famiglie non hanno da mangiare, non hanno la dignità di portare pane a casa. Non importa che tanta gente debba fuggire dalla schiavitù, dalla fame; e fuggire cercando la libertà e con quanto dolore, e tante volte vediamo che trovano la morte, come è successo a Lampedusa». La condanna della «globalizzazione dell’indifferenza» trova in questo passaggio del discorso la sua formulazione più essenziale, toccando tutti i temi dei precedenti "capitoli" (lavoro, povertà, rapporto nord-sud, idolatria del denaro e del materialismo), ma soprattutto fornendo l’indicazione della strada da percorrere. Prendersi cura del fratello, che significa prendersi cura dell’altro e dei suoi bisogni, prendersi cura del mondo e dell’ambiente. Insomma prendersi cura, ognuno al suo livello (politico, sociale, culturale, religioso), di quanto avviene intorno a noi. E globalizzare semmai la vocazione alla custodia, non l’indifferenza. Ecco l’accento di Francesco. Con alla base questa fondamentale categoria, di cui ha parlato fin dall’inaugurazione del suo ministero petrino. Papa Bergoglio l’ha finora declinata sul versante della difesa di ogni vita (si pensi alla condanna di quella che egli chiama «cultura dello scarto» e alla sottolineatura dell’«ecologia umana» di cui si parla nella
Centesimus annus); in tema di pace e di rapporti sociali ed economici (tenendo conto della grande lezione della
Caritas in veritate); e anche in relazione alla salvaguardia del creato. La dottrina sociale imperniata sulla categoria della custodia è in sostanza il ribaltamento dell’individualismo. L’annuncio di un nuovo coinvolgente umanesimo cristiano, che affonda le sue radici nella terra sempre fertile del Vangelo.