Avrebbe dovuto essere imperniata sugli aiuti ai Paesi della primavera araba l’agenda del vertice del G8 che si è aperto ieri sera a Camp David, sarà invece la crisi dell’eurozona a tenere banco. A poco più di dieci anni dal suo varo, la valuta che avrebbe dovuto scalzare il dollaro dal piedistallo di solitaria moneta di riferimento del sistema internazionale sta mostrando tutti i limiti della sua progettazione. Il suo deprezzamento nei confronti del biglietto verde non sembra destinato a dover subire un’inversione di tendenza. Anzi, se le elezioni greche dovessero dare un risultato poco gradito ai mercati e se la Grecia dovesse dichiarare il default o essere "sospesa" da Eurolandia, l’esito di un’ulteriore e più marcata svalutazione sarebbe pressoché scontato. Si tratterebbe di un paradosso dal sapore della beffa, se solo si considera che proprio l’eccessiva "forza" dell’euro rispetto al dollaro e l’impossibilità di svalutare sono considerate da molti osservatori tra le cause strutturali dell’incoerenza di una moneta unica circolante in zone economiche così differenziate. Differenziate e divergenti occorre aggiungere se, secondo gli ultimi dati disponibili, alla recessione che riguarda ormai tante economie della zona euro fa da contraltare la continua crescita tedesca. Ancora più paradossale è che tra i più preoccupati per le sorti dell’euro ci siano proprio gli americani che, una volta rassicurati sull’impossibilità che una valuta così congegnata potesse privarli del diritto di signoraggio assicurato loro dal dollaro, sono perfettamente consci che un collasso della moneta e una prolungata recessione dell’economia di Eurolandia potrebbero avere effetti complessivamente disastrosi sull’economia globale e vanificare le costose politiche anticicliche messe in atto dall’amministrazione Obama.Washington negli ultimi tempi si è unita anche Londra nel chiedere all’Europa dell’euro maggior coesione e soprattutto maggior coraggio, perché non potranno essere certo le economie dei Brics a trainare il mondo fuori dalla recessione: basti pensare che la Cina ha abbassato al 7% le stime di crescita annua del Pil per il prossimo quinquennio, consapevole che la crisi europea produrrà come minimo una contrazione della domanda di beni cinesi, oltretutto sempre meno a buon mercato. Il problema è che all’interno della zona euro (a Camp David rappresentata dai suoi tre maggiori Paesi: Germania, Francia e Italia) si registrano divergenze d’opinione circa le ricette da seguire per venire a capo della pericolosissima situazione attuale. Proprio nella giornata di ieri si sono susseguite fughe di notizie e smentite circa la compiuta predisposizione dei piani di uscita della Grecia dalla moneta unica. A questa eventualità si stanno già del resto preparando i greci, che da giorni stanno dando un assalto metodico e ordinato, ma non per questo meno determinato, agli sportelli bancari, ritirando i propri euro, così dal costituirsi delle riserve in "valuta forte" qualora davvero la dracma dovesse tornare a circolare. Certo è che, per quanto poco pesi l’economia greca su quella dell’eurozona (circa il 3% in termini di Pil, cioè meno della Lombardia), l’effetto psicologico sulla valuta potrebbe essere devastante. La fiducia dei mercati nei confronti della capacità di
governance del sistema da parte dei governi europei ne uscirebbe compromessa. E questo potrebbe scatenare un’ondata di attacchi speculativi violentissimi su Portogallo, Spagna e magari Italia.Avevano ragione Milton Friedman e Paul Krugman a sostenere, da sponde politiche e scuole economiche differenti, che adottare una moneta unica in assenza di altre e più significative convergenze politiche e di un maggiore accentramento della sovranità avrebbe finito col produrre l’ingovernabilità della moneta e una divergenza crescente tra le diverse economie nazionali. Inutile però piangere sul latte versato. Occorre invece insistere affinché ciò che non è stato fatto prima del lancio dell’euro almeno sia fatto dopo. Non è ancora tropo tardi per salvare l’euro e l’Europa stessa attraverso un salvataggio della Grecia che sappia declinare concretamente il nuovo mantra «rigore e sviluppo» proprio a partire da Atene.