Caro direttore, con non poca sorpresa ho letto su altre pagine, ben diverse da quelle di 'Avvenire', che «le Ong italiane sarebbero in rivolta contro Carola Rackete e le organizzazioni straniere: danneggiano il nostro lavoro». Sulle parole attribuite da un quotidiano italiano all’amico Marco Griffini di Aibi – Amici dei Bambini – vorrei ragionare senza entrare nel merito dell’intervista stessa. A dir il vero sono molto preoccupato delle strumentalizzazioni che da ogni dove si vuol perseguire verso il mondo della solidarietà. Quasi che questo mondo, quello delle Ong e più in generale delle associazioni umanitarie impegnate sulla scena internazionale, non potesse esprimere delle diversità. Che invece ci sono e che devono essere viste come ricchezza di una società civile. All’attuale ruolo che ricopro, oggi, come presidente Focsiv sono giunto dopo un percorso di quasi 50 anni di impegno nel volontariato e nella solidarietà internazionale.
Ho avuto la fortuna negli anni 70 del Novecento di contribuire alla nascita del Clong – Comitato di collegamento delle Ong a livello europeo – e di constatare le tante esperienze presenti nei diversi paesi europei. Anche allora non si è proceduto alla omologazione, ma si è teso di assumere dei criteri che fossero rispettosi dei valori condivisi. Non faccio mistero che nel nostro Paese ci sono Ong che fanno riferimento alla cultura della solidarietà e altre alla cultura della filantropia. Alcune che enfatizzato il ruolo del volontariato e altre che si basano sul cooperante come mestiere. Alcune che hanno radici profonde nelle comunità territoriali italiane e altre invece che sono organizzate per realizzare campagne raccolta fondi su modelli internazionali. Hanno tutte legittimamente il diritto di esistere, salvo che rispettino i codici di comportamento che in sede europea ci siamo dati, che rispettino le normative stabilite dalle leggi di cooperazione internazionale che l’Italia ha adottato, e nel prossimo futuro le normative di cui si doterà la Riforma del Terzo settore. Ovviamente tralascio il delicato compito della magistratura quando è necessario che intervenga anche a beneficio di chi invece è virtuoso. Forse sarebbe necessario che chi è preposto alla comunicazione ed informazione approfondisse questo nostro piccolo mondo delle Ong rispetto al più grande mondo del non profit.
Ho sentito recentemente durante il telegiornale di una importante tv, ragionare dei 5-7 milioni di volontari che operano in Italia, e definire tale realtà «questo mondo che conosciamo così poco». Caspita! Forse sarebbe davvero opportuno che i nostri media dedicassero proprio più attenzione a questo mondo anziché concentrarsi con accanimento sulla cronaca nera... D’altro canto, in Italia il mondo del lavoro, dell’imprenditoria, delle rappresentanze sindacali è sicuramente molto variegato, così come quello dell’artigianato, delle cooperative (sociali e no), della piccola e della grande impresa. Sappiamo anche che l’economia familiare, nonostante tutto, è ancora un modello di riferimento anche nel nostro Paese.
Ci sarebbe quindi da chiedersi perché qualcuno vorrebbe omologare il mondo delle Ong. La Federazione che rappresento conta 86 organismi di ispirazione cristiana di diverse dimensioni e impegni: l’esperienza del rispetto e della valorizzazione delle diversità è, quindi, un esercizio che conosciamo bene. Terminando vorrei rivolgermi a Carola Rackete, per ringraziarla ed esprimerle la nostra piena solidarietà. Forse noi delle Ong italiane abbiamo mancato di coraggio nel mettere in mare accnato alle altre una nostra nave con la trasparenza dovuta. Tuttavia, non è mai troppo tardi.