I dati raccolti nei Centri di aiuto alla vita confermano quella che la settimana scorsa si era affacciata come una drammatica ipotesi: le richieste di aborto negli ultimi mesi stanno aumentando a causa della crisi economica. Precarietà del lavoro, incertezza rispetto al futuro e impoverimento progressivo stanno inducendo infatti un numero maggiore di donne – italiane e straniere – a chiedere un aiuto economico o addirittura a rinunciare alla gravidanza. La decisione di ricorrere all’aborto perché non si è in grado di mantenere un figlio rappresenta una doppia sconfitta anzitutto per la collettività. La soppressione di una vita nascente per motivi economici testimonia infatti il palese fallimento di quanto previsto dalla stessa legge 194, laddove impone di cercare assieme alla donna «... le possibili soluzioni dei problemi proposti, di aiutarla a rimuovere le cause che la porterebbero alla interruzione della gravidanza, di metterla in grado di far valere i suoi diritti di lavoratrice e di madre, di promuovere ogni opportuno intervento atto a sostenere la donna, offrendole tutti gli aiuti necessari sia durante la gravidanza sia dopo il parto» (art. 5). Quali tentativi vengono realmente svolti in questa direzione? E da parte di chi? In quale sede si dispone di strumenti d’intervento utilizzabili – concretamente – perché quella citata non resti solo una formula di legge, lettera morta nella prassi reale? Una collettività che non riesce a tutelare il bene primario della vita è un’entità che ha smarrito la sua prima ragion d’essere; un welfare incapace di rispondere al bisogno della sopravvivenza per sé e per i propri figli è un sistema che si va svuotando, che evidentemente disperde troppe risorse in direzioni meno necessarie. La sconfitta più pesante sta proprio in questa mancanza di sussidi e provvidenze mirate alla maternità e alla primissima infanzia. Mentre in Germania è previsto un assegno di quasi 2mila euro per ogni figlio sino ai 18 anni e misure simili sono in vigore in Francia, Danimarca, Svezia, Belgio, Gran Bretagna, da noi la maternità resta un 'affare privato', il crescere dei figli un compito che lo Stato degna di poche attenzioni: assai limitate detrazioni fiscali e assegni familiari destinati ai soli lavoratori dipendenti meno abbienti. Proprio l’esperienza dei Centri di aiuto alla vita dimostra, invece, come il dramma della rinuncia a un figlio si possa evitare con due strategie tra loro complementari. Anzitutto, non lasciando sole le donne di fronte ai loro problemi, offrendo invece comprensione e compagnia. E, non meno importante, fornendo aiuti tangibili, concreti, immediati come l’assegno mensile da 160 euro che i Cav riescono ad assicurare per 18 mesi alle donne che non abortiscono, grazie a una rete di volontari, di parrocchie, scuole e interi uffici coinvolti nella raccolta di fondi e di materiali per la prima infanzia. Un impegno tanto encomiabile quanto nascosto, che ha permesso di salvare 14mila bambini in 15 anni, ma che non deve divenire l’alibi per la disattenzione e il disimpegno dello Stato. L’impoverimento e la precarizzazione dei rapporti di lavoro si combattono con gli strumenti di politica economica, occorre però anche decidersi a incrementare gli aiuti alla famiglia e i sussidi alla maternità. Un primo, piccolo passo potrebbe essere compiuto subito con un costo molto limitato, anticipando di 6-8 mesi la concessione della Social card, oggi prevista per i nuclei meno abbienti con bambini da 0 a 3 anni. Attivandola dietro presentazione del certificato di gravidanza oltre che della situazione reddituale – e incrementando la dotazione attuale di 40 euro al mese – si comincerebbe a dare un segno tangibile di attenzione almeno verso le future madri più povere. A suggerire quantomeno l’idea che di fronte allo strazio di non poter mantenere un figlio, lo Stato non si limita ad allargare le braccia e a mettere a disposizione una sala operatoria. È una piccola cosa rispetto ad un dramma immenso, che anziché prosciugarsi come gli auspici illuministici lasciavano intendere, torna ad allargarsi. Ma, signori della politica, vogliamo concretizzare almeno questo piccolo segno?