Sara Simeoni al campo Calvesi di Brescia, dove il 4 agosto 1978 stabilì il record mondiale di salto in alto - ANSA
«Verona 1966, avevo 13 anni e a un campo scuola saltai 1 metro e 35 centimetri. Era la migliore prestazione italiana di salto in alto. E giù, tutti attorno a me, in estasi, mentre io ingenua pensavo: boh, cosa avrò fatto di così straordinario? È cominciata così… L’atletica mi ha dato la possibilità di conoscere e di viaggiare per il mondo, e specie quando ero appena entrata in questo universo dello sport olimpico la vera vacanza era il raduno della Nazionale. La mia prima convocazione azzurra? A 14 anni, mi portò dalla mia Rivoli fino a Rieti. Un’esperienza memorabile, anche perché era la prima volta che stavo così tanto tempo lontano da casa e dalla mia famiglia».
Parola della donna italiana che ha saltato più in alto, la leggenda olimpica dello sport azzurro Sara Simeoni, che, in quest’estate torrida, prova a saltare l’afa che assedia anche il suo buon ritiro di Rivoli Veronese. Un luogo sospeso tra le colline di Bardolino e il Forte Wohlgemuth, la fortezza che il federmaresciallo Radetzky aveva fatto costruire per difendere i confini dell’Impero austroungarico. Lì, a un passo dal Lago di Garda, la Sara nazionale si “difende” assieme al compagno di una vita e suo ex allenatore, il marito Erminio Azzaro e il figlio Roberto. Un casato di saltatori in alto. Piccola premessa sulla disciplina che l’ha resa leggendaria: tutte le grandi imprese del salto in alto storicamente sono sempre avvenute in agosto. Cento anni fa, il 6 agosto 1923 la britannica Sophie Eliott-Lynn con 1, 485 centimetri stabilì il primo vero record del mondo. L’agosto del 1978, il 4 a Brescia e il 31 a Praga, per due volte Sara Simeoni superò di un centimetro, saltando a 2,01 metri, il precedente record mondiale detenuto dalla tedesca della Ddr Rosemarie Ackermann. L’attuale regina è la bulgara Stefka Kostadinova il cui primato, il 2,09 saltato a Roma, resiste dal 30 agosto del 1987. Ma facciamo un salto nel passato e a quei giorni di agosto della costruzione del mito olimpico Simeoni.
«Quando gareggiavo non c’era una vacanza vera e propria, ma non posso ricordarle, se non come dei momenti di grande evasione, quelle preparazioni che la Fidal ci faceva fare in posti esotici come Santo Domingo o Dakar. Lì in ritiro, passavi l’inverno in condizioni estive e psicologicamente gli allenamenti diventavano più leggeri. Poi riuscivi anche a ritagliarti il tempo per qualche escursione in luoghi magnifici, anche se quando tornavo mi rendevo conto che tutta quella magnificenza la ritrovavo in ogni angolo del nostro Paese, a cominciare da casa mia che è un posto in cui sono sempre stata bene». L’esotismo sperimentato con la Nazionale e che stupiva i suoi coetanei, l’ha sempre vissuto con semplicità e naturalezza. Ma per vivere «un’esperienza unica» mamma Sara ha dovuto attendere i sessant’anni. « La vacanza en plein air, in tenda, attraversando tutta la Corsica con mio figlio Roberto, beh quello rimane il massimo mai provato finora. E devo ringraziare il suo amico che rinunciando all’ultimo momento perché si era ammalato mi ha lasciato libero il posto per un’esperienza che mi ha regalato un infinito senso di libertà». Q uella libertà che mancava completamente alle Olimpiadi di Mosca 1980. I Giochi del boicottaggio americano per l’invasione russa in Afghanistan, in una capitale che, ieri come oggi, è sinonimo di dittatura e di guerra, ma che nella storia sportiva della Simeoni rimane la vetta massima raggiunta con la conquista della medaglia d’oro. « Ricordo che non si poteva circolare liberamente fuori dal Villaggio olimpico di Mosca, ma sia per me che per il compianto Pietro Mennea (oro nei 200 metri) quello rimarrà per sempre un momento epico. A Mosca poi sono tornata nel ’92 per la Coppa Europa e trovai una città che tre anni dopo la caduta del Muro di Berlino incominciava lentamente ad aprirsi al mondo. Mi sarebbe piaciuto tornarci nel 2020 in occasione dei 40 anni della medaglia, l’avevo desiderato tanto per poter viaggiare un po’ per tutta la Russia, ma prima il Covid e poi questo conflitto fratricida con l’Ucraina non me lo ha permesso. Spero tanto che si possa tornare presto a Mosca e a Kiev e viaggiare tra quella gente in santa pace».
Magari un viaggio con l’autoradio accesa e ricantando a petto in fuori Viva l’Italia di Francesco De Gregori, come fece sul podio di Mosca. « Eravamo una squadra dimezzata per via del boicottaggio e non disponevamo dell’inno di Mameli, così cantai Viva l’Italia che è una canzone che almeno allora univa un po’ tutti. De Gregori poi l’ho conosciuto a una trasmissione di Carlo Conti – sorride divertita –. Passando vicino a un camerino mi sono accorta che era lì e allora mi sono fiondata dentro chiedendogli sfacciatamente: De Gregori scusa, posso conoscerti? Poi sono scappata via…». La Sara nazionale nei giorni dei Mondiali di atletica sta per scappare ancora e sempre con suo figlio Roberto. « Abbiamo preso un camper e scelto come meta l’Abruzzo, ora stiamo salendo sul Gran Sasso. Erminio? No, non ci ha seguuito, è rimasto a casa a guardarsi i Mondiali alla tv ».
E a proposito di tv, durante le Olimpiadi di Tokyo 2020 la Simeoni è stata la grande sorpresa del talk di Rai1 Il circolo degli anelli e quanto a simpatia e a gag se l’è giocata fino all’ultima puntata con il comico e trasformista Ubaldo Pantani. Un’avventura quella televisiva che data la passione per il viaggio poteva proseguire con un programma come Pechino-Express. « Me l’hanno offerto, ma non me la sono sentita, primo perché soffro di mal di schiena. Sono i postumi della mia carriera, molto più rischiosa dei saltatori di adesso… Quando ho iniziato io c’era d’aver paura a darsi al salto in alto, era come fare il trapezista del circo senza la rete sotto. Si ricadeva sulla buca ricoperta di sabbia, poi su materassi duri come il marmo. Schiena a pezzi, tutto un livido, se non fosse stato per il mio maestro, Walter Bragagnolo, avrei smesso subito… Ma tornando a Pechino-Express, no, stare fuori di casa per un mese mi sembrava troppo alla mia età. Ma finché potrò voglio continuare a viaggiare, perché spostarmi e incontrare nuove culture oggi mi affascina più dell’atletica».
Ma mentre parliamo da Budapest arriva una “bomba” azzurra dall’atletica: l’oro olimpico del salto in alto Gianmarco Tamberi ha fatto slam: oro anche ai Mondiali di atletica. «Che bella notizia, mi fa un enorme piacere. Peccato che io e Roberto ci siamo persi la gara, ma in compenso mi sto godendo lo spettacolo del Gran Sasso… Comunque bravo “Gimbo”! Tamberi l’ho conosciuto ragazzino e avrei tanto voluto seguirlo da vicino ma non mi è stata data la possibilità di restare in un mondo come quello dell’atletica che amo e amerò sempre, ma è cambiato troppo, così in fretta, e purtroppo in peggio e questo mi ha costretto a prendere le distanze…».
E ancora: « Il mio modo di vedere lo sport e l’atletica è “fuori moda” perché ho sempre creduto in un solo sport, quello puro e pulito. Oggi ci sono troppe cose che non capisco, tipo: alcuni atleti, ma come fanno a realizzare certi exploit e poi dopo poco tempo non solo non si ripetono ma hanno dei bassi clamorosi? Per i campioni della mia generazione era impensabile. La mia storia e quella di Mennea insegnano che una volta raggiunto un certo standard lo mantenevi per un bel po’ di anni, adesso invece… Mah, forse a questi ragazzi per riprendersi e tornare con i piedi per terra servirebbe un bel viaggio spirituale, come quello che feci anni fa con Famiglia Cristiana in Terra Santa e a Fatima. Viaggiare spesso è un po’ come pregare e poi impari a convivere con l’altro, magari anche con quello più distante da te e dalla tua vita di tutti i giorni. E quando torni a casa, spesso ti ritrovi una valigia di emozioni nuove, da svuotare e da ricordare».