Dall’Europa "avanzata" a un pezzo d’Africa profonda, martoriato da una lunga guerra civile conclusasi negli anni 90: il Mozambico. Tre settimane fa questo Paese di 21 milioni di abitanti, che continua ad avere indicatori economici tra i più bassi al mondo, ha legalizzato l’aborto sul modello delle legislazioni europee: rendendolo possibile entro le dodici settimane in caso di pericolo per la salute fisica o psichica della donna, in pratica senza vincoli. È la quarta nazione del continente ad aver allargato le maglie fino a questo punto, dopo Sud Africa, Capo Verde e Tunisia. La decisione non nasce dal nulla, è il frutto di una pressione iniziata all’indomani della Conferenza dell’Onu sulla donna, Pechino 1995, e attuata da Ong straniere per la promozione della "salute riproduttiva", ovvero promotrici di contraccezione sterilizzazione e aborto, come la statunitense PathFinder. Non è nemmeno bastata l’opposizione della Chiesa cattolica a fermare la spinta abortista in un Paese dove i cattolici sono maggioranza relativa. Dall’Africa al Sud America, dove uno dei problemi sociali posti meno sotto la luce dei riflettori ma dalle ricadute più pesanti è quello della ragazze madri, o madri abbandonate, o costrette a crescere sole i propri figli.
Secondo la World Family Map 2014, l’autorevole rapporto sullo stato delle famiglie nel mondo elaborato dall’istituto di ricerca ispano-americano Social Trends Institute, la Colombia è il Paese con il più alto numero di madri non sposate al mondo. L’84% dei figli nasce fuori dal matrimonio e la percentuale di adulti sposati è di solo il 20%. Chiaramente situazioni simili sono terreno propizio per la propaganda e le diffusione della contraccezione, spacciata come soluzione rapida ed efficace a gravidanze extra-familiari. In Argentina, per dire, lo scorso luglio il ministero della salute ha sponsorizzato l’impianto contraccettivo ormonale sottocutaneo, efficace fino a tre anni, reso disponibile gratuitamente a determinate condizioni per la ragazze dai 15 ai 19 anni. Poche settimane fa a Orán, nella provincia argentina di Salta, l’applicazione gratuita è stata estesa fra non poche polemiche a partire dai 12 annidi età.
Citiamo questi esempi recenti, che hanno come soggetto o oggetto di sperimentazione comune la donna, perché possono aiutare a capire il titolo di un volume da poco pubblicato dalle edizioni Cantagalli: "La rivoluzione della donna, la donna nella rivoluzione". Si tratta del rapporto sulla dottrina sociale della Chiesa nel mondo – alla sua sesta edizione, riguardante l’anno 2013 – realizzato dall’Osservatorio internazionale cardinale Van Thuan, presieduto dall’arcivescovo di Trieste Giampaolo Crepaldi, in collaborazione con l’Università Cattolica San Paolo di Arequipa (Perù), la Fondazione Paolo VI di Madrid e il Cies, Centro di investigazioni di etica sociale di Buenos Aires. Secondo le finalità con cui è nato, dell’anno analizzato il rapporto raccoglie gli interventi magisteriali più significativi appunto sulla dottrina sociale della Chiesa, a partire da quelli papali, fa una silloge di notizie significative che fotografano mutamenti culturali a livello globale e focalizza l’attenzione su un tema forte.
Quest’ultimo, "la donna nella rivoluzione" spiega Crepaldi nella presentazione, «indica che le donne sono state oggetto di una rivoluzione che le ha spesso trasformate, ha loro imposto ruoli e comportamenti differenti dal passato. Ciò è avvenuto in molti modi, ma soprattutto mutando la percezione del proprio corpo e, di conseguenza, quella della relazione con l’altro sesso, con la procreazione, con la famiglia e la filiazione. È stata una rivoluzione molto profonda che ha trasformato significativamente la società e nella quale la donna è stata, diciamo così, parte passiva». C’è poi la seconda parte del titolo, "La rivoluzione della donna", che suggerisce come le donne siano state nello stesso tempo il primo soggetto della rivoluzione in atto. «L’evoluzione del femminismo delle origini e molte sue derive – continua Crepaldi – hanno prodotto seri cambiamenti di cui sono state protagoniste le donne. E questo, si noti, non riguarda, come si potrebbe pensare, solo i Paesi sviluppati e modernizzati, ma tutti i Paesi del mondo, naturalmente fatte le debite distinzioni. Il prodotto finale di questi cambiamenti sembra essere la tecnicizzazione che, dall’indifferenza all’identità sessuata arriva alla composizione e scomposizione delle relazioni con la conseguente distruzione della famiglia e di ogni riferimento naturale».
Posto questo, il rapporto mette in evidenza un altro aspetto, anche con l’intervento centrale affidato ad Eugenia Roccella: che la ripresa di un alfabeto delle relazioni, a partire dalla complementarietà dei sessi, di un rapporto umano tra tecnica e corporeità, passa in gran parte per la donna. «È significativo che a fondare il movimento francese Manif pour Tous siano state tre donne – ricorda sempre l’arcivescovo di Trieste – che a reagire all’invasione dell’ideologia del gender nelle scuole pubbliche siano soprattutto le mamme, che si collegano tra loro e formano comitati di sostegno e azione, che vengano pubblicati studi sulla nuova configurazione delle donne scritte da donne». È una contro-rivoluzione rosa che trova linfa in quella mulieris dignitas richiamata potentemente da Giovanni Paolo II, da Benedetto XVI e oggi anche da papa Francesco.