Oramai a quasi due anni e mezzo dal suo inizio, la guerra su larga scala in Ucraina continua con grande intensità. Le notizie che raggiungono il sistema informativo e l’opinione pubblica, spesso distratti per stanchezza o per abitudine, testimoniano di morti e distruzioni, mentre il clima politico e culturale nel mondo si presenta segnato in maniera sempre più marcata da un prevalente orientamento bellicista. In questo quadro tornare a ragionare sull’importanza dell’impegno umanitario non è la difesa di interessi di parte – quelli della cooperazione – né il rifugio consolatorio di fronte a una conclamata irrilevanza. È invece una necessità ineludibile, motivata da un sano realismo, nonché un investimento lungimirante sulla pace.
Ma l’impegno umanitario nasce anche da uno sguardo lucido e realistico sulla guerra. L’opinione che il ritorno prepotente della guerra in Europa – ma già negli anni Novanta un conflitto aveva travolto i Balcani – abbia finalmente costretto ad aprire gli occhi su una realtà inesorabile della storia si accompagna sovente alla denuncia di una presunta “illusione pacifista”, fondata su una falsa percezione del mondo da cui sarebbe stata espunta la guerra. In realtà alla base dell’azione umanitaria e della ricerca di pace, che la accompagna e la motiva, c’è l’atteggiamento non di chi distoglie lo sguardo dalla guerra, ma di chi la guarda negli occhi, che sono quelli delle vittime della violenza bellica. È proprio il realismo di una conoscenza profonda dei conflitti, delle loro conseguenze, della condizione della gente, a guidare l’azione umanitaria e la ricerca della pace. Cerca la pace chi fissa lo sguardo sulla guerra con empatia verso tutte le vittime. Ne può scaturire una intelligenza che permette di rispondere ai bisogni delle popolazioni colpite, di immaginare il futuro, di perlustrare sentieri di pace.
Questo è tanto più vero in Ucraina, rispetto alla quale la comunità internazionale non appare attraversata dall’urgenza stringente di porre fine a questo conflitto. Si attendono scadenze elettorali, si vuole capire quale sarà l’equilibrio di forze politiche, mentre si preme l’acceleratore sull’opzione militare, si intensificano i bombardamenti missilistici, come testimoniano i reportage di Avvenire, e i combattimenti al fronte proseguono con asprezza.
Ma a patire le sofferenze maggiori da questa guerra continua a essere la popolazione ucraina. Secondo dati ONU su 33,3 milioni di residenti, 14,6 milioni di ucraini hanno bisogno di aiuti umanitari. Negli ultimi mesi la situazione è andata deteriorandosi. I bombardamenti russi hanno provocato vittime tra la popolazione civile, hanno distrutto case, ospedali e scuole. La messa fuori uso di centrali elettriche di produzione e di distribuzione ha gravemente danneggiato il sistema energetico, con la conseguenza di provocare regolari e prolungate sospensioni dell’erogazione di energia elettrica in tutto il paese. Tale situazione, che incide pesantemente sulla vita quotidiana degli ucraini, sembra destinata a peggiorare durante l’inverno e a divenire una emergenza umanitaria di grandi proporzioni per il rischio di provocare una paralisi dei sistemi di riscaldamento. Pesante permane la situazione degli sfollati interni, stimati circa 3,5 milioni, anche per le difficoltà finanziarie dello Stato ucraino, che ha dovuto sospendere parte dei sussidi loro destinati. Inoltre, tutti i dati attestano l’impoverimento generalizzato della popolazione, a partire dai più vulnerabili, anziani, persone con disabilità, minori e donne.
Uno sguardo realista sulla guerra in Ucraina non può non partire da questi dati, e dai molti altri che si potrebbero aggiungere. Non voltarsi dall’altra parte vuol dire quindi assumere la responsabilità di un impegno umanitario, che da qualunque punto di vista lo si voglia giudicare, costituisce una priorità politica nei confronti dell’Ucraina.
Investire sull’umanitario costruisce già oggi la pace, anche quando l’orizzonte resta tempestoso. Contribuisce a curare le ferite aperte dal conflitto nel tessuto della società. Quando trionfa la violenza crudele della guerra, che penetra nelle menti e condiziona i comportamenti, l’humanum non sembra avere spazio nella vita della società. C’è quindi un bisogno impellente di una solidarietà concreta, gratuita, pensata, che si rivolge alle donne e agli uomini, difende la loro dignità e il valore delle loro vite, persegue la giustizia, promuove una logica alternativa a quella bellica.
L’impegno umanitario è una ribellione alla guerra e alla sua logica ferrea. Costruire la pace non è la ricerca della formula perfetta, quasi magica, che non esiste. Costruire la pace è un lavoro faticoso, è un processo, spesso lungo e complesso, fatto di tentativi, di canali di comunicazione da aprire e tenere aperti, di relazioni di fiducia da stabilire e consolidare, di dialogo da portare avanti con audacia, costanza e intelligenza. L’impegno umanitario è la prima e fondamentale tappa di questo lavoro complesso per la pace. Parte dal guardare negli occhi la guerra, le vittime della guerra. Perché la pace non è per la nostra tranquillità, ma è in primo luogo per gli ucraini.