Gli altri prima dell'io: la lezione di Biden sull'esperienza del limite
lunedì 22 luglio 2024

Il passo indietro compiuto da Joe Biden apre uno spazio di riflessione per tutti noi. Non torneremo sulle circostanze politiche ed esistenziali che, specie negli ultimi mesi, hanno reso questo gesto praticamente ineludibile. Ci interessa sottolineare piuttosto, a partire dalla rinuncia del Presidente degli Stati Uniti a ricandidarsi nelle prossime elezioni di novembre, il carattere oggettivo che assume tale decisione. Siamo stati abituati a giudicare la vita con il criterio del successo, inteso quale riuscita di un progetto. Qui invece abbiamo di fronte un’altra modalità operativa che ci richiama al senso del limite: un valore che il mondo moderno sembra aver dimenticato, quasi fosse la zavorra da cui sganciarsi per procedere oltre e non invece, come ritenevano i vecchi padri, un sentimento da praticare nel tentativo di sfuggire a qualsiasi delirio di onnipotenza.

Lo spirito americano profondo, legato al superamento della frontiera, sempre mobile, quindi inafferrabile, imprendibile, diciamo infinita, ne risulta drammaticamente scosso. Eppure l’orizzonte di questo western metafisico non è poi così cupo come a prima vista potrebbe sembrare. Al contrario, ci aiuta a definire meglio, non in chiave meramente giuridica, il rapporto fra potere e responsabilità. Contrariamente a quello che molti cattivi maestri del Novecento ci hanno fatto credere, per trovare davvero noi stessi, ed essere più utili a chi ci sta vicino, avremmo bisogno di affrancarci dagli obiettivi che ci siamo dati: pur perseguendoli, non dovremmo farci condizionare da questi, almeno non fino al punto di modificare la nostra azione nel momento in cui non riuscissimo a raggiungerli.

Se vogliamo uscire dalla frustrazione di non aver fatto centro, disponiamoci a stare bene nella minorità. Anche perché non è detto che la maggioranza abbia sempre ragione. Anzi, molto spesso accade il contrario. Coi grandi numeri, in ogni campo, a perdere è la qualità, umana e culturale. Vogliono stare tutti sulla barca del vincitore. Torniamo, ancora una volta, a Dietrich Bonhoeffer quando, recluso nel carcere di Tegel, a Berlino, sotto le bombe dell’aviazione alleata, consapevole del martirio a cui stava andando incontro, dettava alle generazioni future la linea da seguire: «Dal punto di vista sociale questo significa rinunciare alla ricerca delle posizioni preminenti, rompere col divismo, guardare liberamente in alto e in basso, specialmente per quanto riguarda la cerchia intima degli amici, significa saper gioire di una vita nascosta ed avere il coraggio di una vita pubblica».

Ecco perché, nelle stazioni sulla via della libertà, il teologo che osò contrapporsi a Hitler, pagando il prezzo supremo nel lager di Flossenbürg, poneva proprio, al primo posto, la disciplina: dei sensi e dell’anima. Mai come oggi, nell’epoca della deflagrazione del desiderio, complice anche la rivoluzione digitale, questo richiamo risulta attuale. Al secondo posto egli metteva l’azione: vale a dire la scelta da compiere, senza ondeggiare indecisi fra questa e quella opzione. E noi sappiamo quanto l’incapacità di scegliere di molti adulti possa nuocere alla maturità dei giovani. Al terzo posto Bonhoeffer segnalava la sofferenza, che non andrebbe mai rimossa, né mascherata, dovremmo viverla e concepirla quale accettazione di un mancato controllo. Al quarto posto la morte: rottura delle catene che imprigionano l’effimero corpo. Così l’autore di Resistenza e resa si rivolgeva a Eberhard Bethge, compagno e discepolo. Se, alla luce di queste parole, andiamo a rivedere il video del duello televisivo fra Trump e Biden, che ha svelato all’opinione pubblica mondiale le condizioni di salute del Presidente in carica, lasciando prefigurare la rinuncia da lui compiuta ieri l’altro, ci rendiamo conto che quella scena rivela più di quel che in apparenza mostra.

Vincere e perdere sono due facce della stessa medaglia: c’è una reciprocità personale che ci lega gli uni agli altri. Come scrisse Giorgio Seferis: «E un’anima / se si vuole conoscere / in un’anima / rimiri: / lo straniero, il nemico, lo vedemmo allo specchio». Chi ottiene il bastone del comando, anche se in cuor suo, nell’ebbrezza dell’affermazione, credesse di farlo solo per se stesso, non potrebbe sottrarsi al patto sociale della comunità, sul quale verrà giudicato. Chi esce dalla competizione spezza il pane comune, lo divide a tavola, scoprendo gli ingranaggi della nostra finitudine. Perché tutti, prima o poi, dovremo ritirarci, anteponendo il bene collettivo a quello individuale. Poi ci sarà sempre qualcuno o qualcosa, nella vita reale o chissà dove, i genitori, un maestro, la scuola, un’esperienza, un amico, perfino un nemico, a farci comprendere che le due cose coincidono.

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