C’è qualcosa di tragicamente emblematico nell’attacco terroristico a una chiesa cattolica di Baghdad culminato con il massacro di decine di fedeli. All’orrore di una violenza feroce che da anni colpisce i cristiani in Iraq questa volta s’è aggiunta la rivendicazione esplicita e farneticante di un gruppo legato ad al-Qaeda che si fa portavoce della «collera islamica», in azione contro un luogo di culto cristiano definito «osceno rifugio dell’idolatria».È il manifesto di un’assurda guerra di religione lanciata non solo contro la piccola e sempre più ridotta comunità di fedeli iracheni, ma in generale contro i cristiani che vivono in Medio Oriente. In un certo senso è la risposta dell’islam radicale al Sinodo dei vescovi che si è tenuto dieci giorni fa in Vaticano. È il segno del profondo e misterioso legame che ancora oggi, così come già nella Chiesa delle origini, esiste fra la parola ed il sangue, tra l’annuncio e il martirio.Ed è emblematico che tutto questo avvenga in Iraq dove i cristiani rappresentano l’anello debole di un sistema politico, etnico e religioso dilaniato da contese sempre più aspre. L’odio anticristiano di gruppi fanatici sta provocando l’esodo e la ghettizzazione di una comunità che affonda le sue radici nella Chiesa delle origini ed è sempre stata sinonimo di cultura, prosperità e armonia sociale. Oggi è quella che paga il prezzo più alto dell’instabilità e del caos iracheno.«Siamo come i fiori di un giardino di cui nessuno si prende cura e tutti pensano di poter calpestare a proprio piacimento», ci siamo sentiti ripetere dai cristiani perseguitati di Mosul e di Baghdad. In effetti, al di là di tante belle parole, il governo iracheno non fa nulla per garantire protezione e sicurezza alla minoranza cristiana che si trova nel mirino dei fondamentalisti. Se rivediamo il film del sequestro di massa c’è da rimanere sgomenti: di fronte all’irruzione di un gruppo armato in una chiesa gremita di fedeli per la messa, le autorità di Baghdad hanno optato per un’azione immediata e sconsiderata, un blitz finito in un orribile bagno di sangue. Avrebbero agito allo stesso modo se gli ostaggi nelle mani di al-Qaeda fossero stati deputati del Parlamento o alti esponenti politici? Qualche dubbio l’abbiamo. «Una rapina finita male», così sembra che un funzionario americano abbia laconicamente definito quel che è successo domenica sera a Baghdad, riferendo il tentativo compiuto dai terroristi d’assaltare gli uffici della Borsa. Come se la cattura degli ostaggi nella vicina chiesa siro-cattolica e la strage finale non fossero che una tragica catena di circostanze non volute. Eppure, per la prima volta, i terroristi hanno voluto "firmare" la loro azione, presentandosi come l’avanguardia dello "Stato islamico d’Iraq" in lotta contro la cristianità.Oltre al dolore non possiamo nascondere la nostra profonda indignazione. È così difficile prendere atto che a finire nel buco nero creato dalla «guerra sbagliata e assassina» in Iraq (sono parole del messaggio finale del Sinodo sul Medio Oriente) è soprattutto la minoranza dei cristiani? La comunità internazionale dovrebbe mobilitarsi per tutelare la loro presenza in un Paese dove l’Occidente ha investito molto, non solo in termini economici. In particolare gli Stati Uniti non possono far finta di niente, ignorando le persecuzioni dei cristiani là dove pretendevano di esportare democrazia e libertà. È questo il senso dell’«accorato appello» lanciato ieri da Benedetto XVI affinché «gli uomini di buona volontà e le istituzioni nazionali e internazionali» uniscano le loro forze per mettere fine alla violenza più terribile: quella che colpisce persone inermi raccolte in preghiera.