Dai giudici del Tribunale di Milano che hanno legalizzato per sentenza la maternità surrogata apprendiamo due nuovi princìpi. Anzitutto ci viene spiegato da un organo giudiziario dello Stato che una pratica vietata e perseguita in Italia ma lecita all’estero lo diventa per ciò stesso anche da noi, basta sia conforme alla «lex loci», ucraina, indiana o nepalese poco importa.
Apprendiamo poi che il «principio della responsabilità procreativa» vale per dimostrare che la registrazione dei bambini nell’anagrafe italiana come figli della coppia committente e acquirente è un atto dovuto, a prescindere dal fatto che siano il frutto di una umiliante compravendita di maternità.
Per sentenza sembra dunque possibile dimostrare e ottenere il riconoscimento di qualunque scelta, persino se sanzionata (fino a quando?) dalla nostra legge, ottenendo che una procedura sulla quale a parole si registra una generale repulsione etica venga poi tollerata nelle aule giudiziarie, e anzi riconosciuta come opportuna. Ora basta con l’ipocrisia: "comprare" il grembo di una donna è ovunque un gesto che ripugna alla coscienza umana, e in Italia è anche proibito dalla legge. O no?