Io ateo, che cerco di "voler bene" e tra i giornali preferisco Avvenire
mercoledì 9 febbraio 2022

Una lettera sorprendente, scomoda e bella come la vita di chi l’ha scritta. Che conferma il senso buono
che c’è nell’informare e nell’informarsi. E perché anche un giornale può aiutare, nella diversità, a essere fratelli e sorelle

Caro direttore,

scrivo dopo il suo dialogo domenicale (“Avvenire”, 6 febbraio 2022) con la signora Giuliana Babini su eutanasia, omicidio del consenziente, referendum e rispetto. E faccio una premessa che può sembrare bizzarra: “Avvenire” è il mio giornale preferito nonostante io sia un ex cattolico, ateo sbattezzato da quarant’anni. Sono nipote di uno zio omonimo Guido Tassinari, fondatore dei “Club per l’eutanasia” (al quale io da ragazzo collaborai) e, nel 1993, primo condannato in Italia, insieme alla sua compagna, per omicidio di consenziente (anche se la sentenza usò parole diverse). Spero che non vi sembri una divagazione, ma la mia sposa – con la quale ho condiviso una vita professionale in giro per il mondo in organizzazioni per i diritti umani – oltre vent’anni fa mi diede una lezione: «Non bisogna volere bene a una persona per riconoscerne i diritti». È un’idea che condivido ancora, ma solo in parte: nel tempo ultimo ho iniziato a credere che bisogna volersi bene, tutti, e che nelle nostre differenze culturali, che non a caso vi ho esplicitato all’inizio, si debba proprio volersi bene, come imperativo categorico, in particolare riguardo a temi come il fine vita, che comunque la si pensi è l’unica cosa che in un modo o nell’altro, in una età o nell’altra, è l’unica cosa che ci unisce tutti, noi essere umani, almeno sulla terra (compresi quelli, mi permetto di aggiungere con rispetto, che credono nell’aldilà). Un abbraccio, e ancora ammirazione per il lavoro che fate.
Guido Tassinari

«Fratelli tutti», caro dottor Tassinari. Secondo l’invito di Francesco, il Papa. Attenti, anzi di più, affezionati gli uni agli altri, anche se le differenze ci sono, pur se a volte non è affatto facile. Fratelli e sorelle, insomma, sapendo che non si va necessariamente e sempre d’accordo su tutto, ma che – appunto – ci si vuole bene. E non per modo di dire, ma per cambiare la vita. E per aver meno paura della morte e del giudizio che – si creda o no nell’aldilà – ogni morte dà almeno per un giorno, almeno in quel giorno, della nostra esistenza: quanto amore, quanta fatica, quanta bellezza, quanta rapina e quanta generosità, quanta cura reciproca ci abbiamo messo... La sua lettera è una sorpresa e una conferma del senso buono o, se vogliamo – ma soltanto se lo vogliamo davvero – della fraternità e della sororità che può esserci nell’informare e nell’informarsi. Ed è una lettera bella e scomoda, come immagino la sua storia. Quella umana e professionale (difendere i diritti umani costa e farlo in coppia non costa meno) e quella spirituale (litigare con Dio lascia il segno). Eppure temo che qualcuno potrebbe imprecare e accusarla di aver esibito infine una dose di quel volemose bene che è la scorza greve e inutile delle famiglie e delle comunità umane disfatte e disfattiste, di gente senza vigore. Io non lo credo affatto, credo l’esatto contrario. E mi piace il suo maturato convincimento. Mi piace che trovi utili i nostri occhiali su questa Terra e forse persino i cannocchiali puntati sul Cielo. Mi piace, sì, mi piace molto, che lei faccia sue, almeno un po’, tante nostre parole di carne e di carta. E le sono grato per questo. Ricambio il suo abbraccio.

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