domenica 2 giugno 2013
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L’ultimo atto collegiale prima della fine delle lezioni, nella mia scuola come in molte altre, è stata l’approvazione del cosiddetto «patto di corresponsabilità», che entrerà in vigore dall’inizio del nuovo anno scolastico. È stato un collegio docenti lungo e caratterizzato da una discussione piuttosto accesa. Il che è comprensibile, perché non si tratta di redigere un atto burocratico o solamente formale, ma di fissare una carta dei diritti e dei doveri di tutti i soggetti che vivono la realtà scolastica, in particolare docenti, studenti e genitori. Una sorta di quadro di riferimento, di piccola 'carta costituzionale' della scuola, che consenta di avere chiari, nero su bianco, i principi a cui deve informarsi la nostra interazione quotidiana. In particolare, mi sembra un bel segnale di una scuola che – nonostante le ben note difficoltà del particolare momento congiunturale – vuole migliorare ed essere davvero servizio pubblico, la volontà dei docenti (da cui parte l’iniziativa, la proposta del 'patto') di un sempre maggiore coinvolgimento delle famiglie dei ragazzi. Si tratta di un aspetto fondamentale se intendiamo la scuola non solo come istruzione dell’alunno, ma anche (e forse potremmo dire soprattutto) come formazione della persona del bambino e dell’adolescente: nella dimensione culturale, psicologica, etica e civile. Alcuni miei colleghi (ma per la verità ne vedo sempre meno) guardano al rapporto con le famiglie come a un peso. Una mia collega in una scuola in cui ho insegnato alcuni anni fa era solita lasciare la sala insegnanti per andare a incontrare i genitori nell’ora settimanale dedicata al 'ricevimento' con la frase: 'Vado al patibolo'. Ovviamente si trattava di ironia, ma veniva segnalata quanto meno la scarsa simpatia per quel momento di confronto. Debbo dire invece che personalmente ho sempre svolto volentieri questa funzione del mio lavoro di docente. Certo, le tipologie di genitori sono molto diverse e ce n’è di tutti i tipi, a volte effettivamente non proprio così facili: ci sono quelli che ti ascoltano ma anche quelli che sanno già tutto, quelli che ti chiedono consigli e quelli che invece pretendono di dartente (magari su come affrontare un certo argomento del programma... però l’autorevolezza di un docente è in grado di bloccare facilmente ingerenze di questo genere), c’è quel padre che ti propone subito il tu (perché è un insegnante, dunque un collega, anche se tu non gliel’hai chiesto), quella madre preoccupata perché teme che sua figlia diventi anoressica a causa dello stress che producono le tue interrogazioni... Quando si tratta dei colloqui con i genitori, ogni insegnante possiede le sue tecniche collaudate, e magari pure qualche piccolo trucco. Ad esempio, talora può essere molto utile una certa captatio benevolentiae, che consiste nel partire sottolineando le qualità positive del ragazzo. Soprattutto, quando c’è, la buona educazione: il genitore si sente gratificato dal fatto che se il figlio è educato è in gran parte merito suo; del profitto non proprio brillante si può sempre parlare in un secondo momento. Bisogna disinnescare subito quell’identificazione che spesso scatta da parte del genitore con il figlio, per cui l’adulto ne vive come una personale sconfitta le performance scolastiche negative. Ma quanto è bello quando scatta la collaborazione, quando da insegnante hai la sensazione che con i genitori stai cooperando alla crescita di un giovane. È davvero l’esperienza di una genitorialità condivisa, per cui capisci che nella società, in base ai ruoli di ciascuno, siamo tutti, a qualche titolo, responsabili degli altri. È emozionante vedere negli occhi di un padre o di una madre il lampo d’orgoglio che brilla quando lodi la bravura del figlio e mostri di apprezzarne aspetti e qualità. Quando incontro i genitori, è probabilmente molto più importante quanto io apprendo da loro di quanto loro apprendono da me. Quando un papà o una mamma viene a parlarmi, tendo sempre a fare qualche domanda, per capire meglio chi è il ragazzo o la ragazza che ho di fronte tutte le mattine. Sono convinto che affinché la collaborazione tra scuola e famiglia sia davvero proficua, bisogna che l’istituzione scolastica si metta sempre più in ascolto del vissuto dei ragazzi e delle loro famiglie, delle loro preoccupazioni, delle loro aspettative. Proprio nella direzione di quella 'corresponsabilità' che ora a scuola abbiamo stabilito ufficialmente.
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