Il numero di agosto della
New York Review of Books pubblicherà un contributo molto speciale: un articolo di 4000 parole in cui Amartya Sen porterà nel modo più autorevole la propria critica al governo nazionalista che, dal maggio 2014, gestisce la sua patria indiana. La tesi del Premio Nobel per l’Economia del 1998, anticipata nei giorni scorsi al quotidiano indiano
Times of India, è che i nazionalisti filo-induisti intendono controllare le istituzioni accademiche indiane e che in questa linea rientrano le interferenze di «eccezionale ampiezza» nel mondo della ricerca, accompagnate da sensibili tagli di bilancio per l’istruzione. Le dura requisitoria è comunque in linea con altre affermazioni dello stimato studioso e con la recente conferma (17 luglio) della decisione presa a gennaio di ritirare la propria disponibilità a essere rettore dell’università di Nalanda. Per questo, prima ancora della vicenda personale legata all’istituzione di Nalanda, Sen ha segnalato al
Times of India i limiti delle velleità governative. «Non sono mai stato contro le industrie, ma nessun Paese può diventare un gigante industriale con una forzalavoro che non sia istruita e sana», ha dichiarato Sen, diventato uno degli intellettuali più influenti e rispettati al mondo. «L’India destina l’1,2 per cento del Prodotto interno lordo alla sanità pubblica contro il 3 per cento della Cina. Ora anche quell’1,2 per cento è stato ridotto all’1 per cento. Un esempio della confusione di un Paese che vuole tassi di crescita cinesi, ma ignora gli immensi progressi della Cina nei servizi pubblici (…). Quello è l’esempio di sviluppo per l’Asia che concilia economia di mercato e ruolo dello Stato. L’economia di mercato deve essere complementare con i servizi pubblici». Secondo lo studioso, il governo non coglie un fatto essenziale: gli esseri umani devono essere al centro dello sviluppo. Questa mancanza di comprensione si estende al ruolo delle università e alla libertà di pensiero e di espressione. In sostanza, alla luce delle ultime decisioni, Sen non riconosce all’esecutivo guidato da Narendra Modi e alla maggioranza raccolta attorno al Bharatiya Janata Party quell’autorità morale necessaria a regolare il tumultuoso mondo universitario indiano, che conta 722 istituzioni e 20 milioni di studenti. A sostegno di tale tesi anche casi clamorosi, come il rifiuto del governo di ratificare la nomina del nuovo direttore del Tata Institute of Fundamental Research, iniziativa prestigiosa a livello internazionale e tra quelle di punta nel Paese sul piano della ricerca scientifica, e la richiesta di dimissioni del direttore in carica del National Book Trust, editore associato al ministero dell’Educazione, sostituito con un ideologo del Rashtriya Swayamsevak Sangh, organizzazione di carattere sociale dell’estremismo induista. «Ogni istituzione in cui il governo ha un ruolo formale viene convertita in una istituzione in cui l’esecutivo ha un ruolo sostanziale», dichiara Sen. Non meraviglia quindi se «personalità come Lokesh Chandra, elevato lo scorso anno alla presidenza del Consiglio indiano per i rapporti culturali, ritiene che Modi sia una personalità più prestigiosa del Mahatma Gandhi o che – scrive ancora Sen – Yellapragada Sudershan Rao, attuale presidente del Consiglio indiano per la ricerca storica, non solo non abbia mai compiuto alcuna ricerca di carattere storico, ma abbia invece scritto un articolo per sostenere che il sistema castale viene erroneamente criticato come fonte di sfruttamento mentre ha fatto un gran bene all’India». La questione dell’abbandono da parte di Sen di un progetto prestigioso e innovativo come quello di Nalanda ha la sua causa in questa situazione e l’economista con cattedra a Harvard non usa mezze parole: «Da Nalanda sono stato estromesso». Il risultato è uno stato di insofferenza reciproca e di rapporti sempre più problematici tra il governo e il comitato di gestione dell’università, impegnato nella costruzione di un centro di cultura internazionale con il sostegno finanziario da numerosi governi asiatici e del ministero degli Esteri indiano. Proprio l’indipendenza programmatica e la distanza ricercata dal controllo politico aveva portato il Nobel Sen a criticare apertamente Modi e il Bjp per la loro posizione assai poco laica. Una frattura in cui si è inserita la politica locale, con diversi esponenti del precedente governo dello Stato del Bihar (che era favorevole alla nuova iniziativa prima di essere sconfitto dal voto di maggio 2014), i quali hanno accusato il nuovo esecutivo centrale di «perseguitare» il prestigioso accademico. L'università di Nalanda, fondata nel 2010, ha cominciato a funzionare anche se in modo ancora parziale solo lo scorso autunno nella città di Rajgir. La sua ispirazione è la grande istituzione cultuale buddhista che nel sito di Nalanda ebbe sede a partire dal V secolo dopo Cristo, prestigiosa al punto da segnare storia e cultura dell’intera Asia. Un ruolo definito da convivenza e elaborazione culturale in un clima di libertà religiosa con pochi eguali. Luogo di incontro di studiosi e di pellegrini provenienti dall’intero ecumene buddhista. Al culmine del suo storia, il pellegrino cinese Hiuen Tsang riportava di avervi trovato 700 monaci, migliaia di studenti e un gran numero di istituzioni religiose. La fine doveva arrivare sei secoli dopo, per mano degli invasori musulmani, ma alla sua esperienza la nuova Nalanda si riferisce apertamente. Un’eredità che ha poco significato per il potere politico attuale, che ha come sfondo ideologico quello di un’India con poco spazio per influenze non assimilabili alla grande matrice induista o che – per contrasto – ne mostrino i limiti. Non a caso, sottolinea ancora Sen, «quella di Nalanda non è una situazione di routine. Prima non si era mai verificata una simile interferenza». Il governo – segnala Sen nel testo inviato alla
New York Review of Books – ha cercato «di rimuovermi dalla carica di rettore scavalcando una decisione unanime (gennaio 2015) del comitato di gestione di Nalanda perché restassi in carica». Da qui la sofferta decisione di abbandonare Nalanda e di lasciare il posto a George Yeo, ex ministro degli Esteri di Singapore. «Alcuni membri del comitato, soprattutto stranieri, erano pronti a proseguire la battaglia per sostenermi, ma ho preferito allontanarmi per non diventare un leader impotente. Se fossi rimasto, il governo avrebbe bloccato fonti e gestione». Tuttavia, conclude il Premio Nobel, resta «estremamente importante garantire che sotto il nuovo rettore sia rispettata l’indipendenza di Nalanda, che l’università non sia sottoposta alla pressione di interessi politici». E non mancano elementi paradossali in una vicenda che non gioca a favore di apertura internazionale, pragmatismo e ricerca di un ruolo nuovo per il Paese – tutti obiettivi sbandierati dall’esecutivo nazionalista. Infatti, durante il primo periodo di governo del Bjp, che doveva chiudersi nel 2004 per riaprirsi un decennio dopo, all’appena insignito del Nobel Sen era stata assegnata la più prestigiosa onorificenza civile dell’India per i suoi studi sull’economia sociale nel Bharat Ratna.