Le mani che lo strozzavano infine sono diventate le sue. Le sue stesse mani. Quelle che dall’ombra di uffici strani, di finanziarie di copertura gli stavano togliendo il sonno, il fiato, la gioia, infine sono diventate le sue stesse mani. La sua stessa corda. La sua stessa volontà di tirare la corda. Di stringere il cappio che altri gli avevano messo al collo. Quando un uomo la fa finita così verrebbe da pensare subito a sordide storie dei vicoli dei tanti sud del mondo e d’Italia. Ma non è così. Il tragico gesto del tabaccaio milanese ci mostra con l’evidenza che taglia il respiro che anche nel civilissimo, sviluppatissimo nord arrivano le grinfie d’ombra di chi con il denaro si porta via anche la vita della gente. La rovina economica di quest’uomo è simile a quella che può capitare e capita a tanti. La via del credito regolare, l’insufficienza di questo, l’anticamera dell’usura camuffata da uffici di un’allettante finanziaria che elargisce soldi. E poi il maledetto imbuto. Da cui non è riuscito a risalire. Che l’ha risucchiato. Preso per i soldi, afferrato per i debiti, l’intero uomo, cuore mente corpo, è precipitato. In solitudine, come spesso accade. Senza far trapelare quasi niente ai familiari e ai vicini. Fino allo schianto della notizia finale. Come per non voler disturbare. O almeno per non disturbare troppo a lungo. Capita spesso. È in un certo senso comprensibile. È difficile confidare a chi si ama il proprio fallimento. Insomma, ha voluto che i suoi non guardassero la sua vergogna. Ha preferito, come in una specie di gesto d’amore estremo, eppure contraddittorio, dare il taglio netto. Evitare a loro il logoramento che era stato suo. È evidente che storie come questa sono segnate dal maledetto crimine dell’usura – che sempre la Chiesa ha additato come uno dei peggiori – così come sono segnate dalla solitudine. Quella del piccolo uomo d’affari. O del grande uomo d’affari. Solo con la sua impresa. O di famiglie che usano male il denaro. Senza senno, e senza confrontarsi con nessuno. Sempre più soli specie quando l’impresa vacilla, non ce la fa. E mentre si stringe il cappio dell’usura si stringe anche quello della solitudine. Le due mani che poi sono diventate le sue stesse mani. Perché la solitudine dell’imprenditore – piccolo o grande – è la prima alleata dell’usura. Solitudine che a volte resta tale al di sotto di categorie, di associazioni di facciata, formali. In questo aumento di storie di soffocamento per usura (come documentano anche i centri d’ascolto cattolici) c’è un avvertimento. Per i governanti, per gli imprenditori. E per i cittadini. L’usura è un male sociale. Vale a dire una cosa che ammala tutta la convivenza. Perché gli usurai – grandi o piccoli che siano – ingoiano il lavoro, la fatica, e spesso la vita della gente. Lo stesso Dante Alighieri non cita mai suo padre e se ne vergogna perché forse fu usuraio. Acquattati come coccodrilli in una società che fa del business e della riuscita una specie di legge non scritta, ferrea e micidiale, eccoli pronti ad azzannare e a far sparire le loro vittime. Mentre non c’è nessuna ragione al mondo per cui un uomo che non riesce a tirare avanti debba finire così. I debiti non possono diventare una condanna a morte. Né al sud né al nord. E se lo diventano è perché ai coccodrilli si sono alleati solitudine e indifferenza. E la diseducazione all’uso del denaro. No, il caso del tabaccaio milanese non è un 'caso'. Ma un sintomo. Grave. I signori dell’ombra sono ben piazzati ovunque, anche nell’Italia che come si dice 'tira'. E stanno nutrendo il loro cancro. Si deve combatterli spietatamente, favorendo la compagnia tra imprenditori e perseguendo le finte finanziarie, spezzando i tentacoli e i denti. Quelli che il tabaccaio di Milano ha sentito, insopportabili, fin dentro al cuore.