A un mese dalla sua elezione, Papa Francesco ha annunciato la prima decisione "forte" di governo. La costituzione di un
Gruppo formato da otto cardinali, di cui uno
coordinatore, e con un vescovo come segretario, per «consigliarlo nel governo della Chiesa universale e per studiare un progetto di revisione della
Pastor bonus», la Costituzione sulla Curia romana varata da Giovanni Paolo II nel 1988. Prima riunione «collettiva» il prossimo ottobre, anche se «Sua Santità è tuttavia sin d’ora in contatto» con questi suoi fratelli cardinali.
Un passo importante per la Chiesa «in cammino » sempre richiamata da Papa Bergoglio, nel segno dell’evoluzione piuttosto che in quello della rivoluzione. Che, con sullo sfondo la prospettiva della collegialità, dota la Chiesa Universale di quello che appare come un vero e proprio
consiglio – anche se il termine proprio che lo definisce è "Gruppo" – in cui sono rappresentati tutti i Continenti, chiamato attorno a sé dal Vescovo di Roma. È presto, adesso, per riuscire a immaginare il
come tutto questo si declinerà, o per dire
che cosa comporterà, se non che di sicuro non sarà una sorta di "supercuria", essendo evidente che al Gruppo non sono assegnate mansioni di governo né in qualche modo decisionali. Quel che piuttosto si può mettere in evidenza è il quadro d’insieme della scelta di Francesco, che, come detto poco fa, deve far parlare di
evoluzione piuttosto che di
rivoluzione.
A cominciare dal fatto che l’annuncio arriva come un passaggio atteso, non uno
choc improvviso, e in qualche modo anzi annunciato dallo stesso Francesco proprio nel suo primo affacciarsi alla Loggia delle Benedizioni, poco più di un’ora dopo l’elezione, presentandosi come Vescovo di Roma, e mai pronunciando la parola
Papa. Una scelta precisa, che col suo rimandare al fondamento stesso del ministero petrino, manifestava da subito un valenza profonda, quasi "densa", nella duplice direzione della collegialità e, in intima connessione con essa, dell’ecumenismo – valenza, quest’ultima, peraltro immediatamente colta dal Patriarca ecumenico di Costantinopoli, che, non a caso, per la prima volta nella storia è stato presente a una messa d’inizio pontificato. Evoluzione, anche, nel senso che con la sua decisione Papa Francesco dà continuità e stabilità al processo di crescente coinvolgimento del corpo episcopale iniziato da suoi immediati predecessori. Con Giovanni Paolo II che introdusse l’abitudine di convocare a Roma il Collegio cardinalizio per Concistori che potremmo definire "consultivi".
E con Benedetto XVI che, modificando
de facto la prassi sinodale con l’introdurre gli spazi di discussione "libera" e l’uso di pubblicare le proposte finali di ogni Sinodo indipendentemente dalla loro successiva traduzione in una Esortazione apostolica, ha aperto una nuova, più ampia finestra sull’esercizio della collegialità.
Oggi, così, con la scelta degli otto cardinali, e attraverso il loro rappresentare l’universalità della Chiesa, quell’esercizio sembra entrare in una nuova dimensione. Che, ne abbiamo accennato, non implica né sottintende un ruolo operativo che in qualche modo "preceda" o "ridimensioni" quello della Curia, il cui compito, preciso e insostituibile, è di aiutare il Papa nell’esercizio del suo ministero, come braccio operativo. Anzi, proprio il fatto che il primo compito definito per il Gruppo sia quello di studiare un progetto di revisione della
Pastor bonus, indica piuttosto il desiderio di valorizzare il ruolo di servizio della Curia romana, secondo quello che fu il principio ispiratore della Costituzione apostolica di Papa Wojtyla.