Passa tra profezia e realismo la via della Chiesa verso la pace
martedì 28 maggio 2024

Lo scorso febbraio, nell’imminenza del secondo anniversario dell’aggressione della Federazione russa all’Ucraina (e mentre il bilancio della guerra tra Israele e Hamas saliva a 30mila vittime), i vescovi della Germania hanno pubblicato “Pace a questa casa”, testo che ora, grazie alla traduzione realizzata dalla rivista “Il Regno” (sul n. 9, maggio 2024, della sezione “Documenti”), è disponibile anche in lingua italiana.

Non tragga in inganno il genere letterario – “dichiarazione” – che accompagna il titolo: si tratta di una riflessione di largo respiro, che il presidente della Conferenza episcopale tedesca, monsignor Georg Bätzing, inquadra scrivendo, nella prefazione, che in questo «mondo in disordine» rischiano di crollare «i pilastri portanti di un ordine pacifico» (dal sistema di cooperazione internazionale al divieto di guerra d’aggressione). È davanti a tale crisi, percepita in Germania con particolare consapevolezza a causa delle implicazioni storiche e geopolitiche della guerra in Ucraina, che la Chiesa cattolica si interroga. Vuole contribuire a «un solido dibattito sulla pace», individuando tre questioni fondamentali: «La sfida posta da nuove forme di violenza in una situazione mutata»; «l’imminente crollo della cooperazione internazionale», finora capace di prevenire i conflitti violenti; la «crescente importanza ed esplosività delle identità e delle appartenenze culturali e religiose».

Per dare un’idea della ricchezza di questo documento basta scorrere i capitoli, che si soffermano su: il messaggio cristiano di pace di fronte alla violenza attuale; il nostro mondo nel caos, nel conflitto e nella violenza; i modi per superare la violenza; la responsabilità della Chiesa in un mondo non pacificato. Presentando la riflessione sulla stessa rivista “Il Regno” che la pubblica, Daniela Sala aggiunge che la trattazione «spazia dalla politica all’economia, e dall’ecologia alla psicologia», suggerendo una sorta di minimo indice analitico; di esso segnalo in particolare l’ultima voce, “violenza”. In un testo sulla pace, termine che con i derivati “pacifico”, “pacifismo” ecc. vi ricorre circa 400 volte, ci si potrebbe aspettare di leggere con altrettanta frequenza il termine “guerra”. Invece quella che in esso viene contrapposta alla pace è soprattutto la “violenza” (oltre 300 ricorrenze), poi il “conflitto” (quasi 200) e finalmente la “guerra” (120). Partire dal «fenomeno della violenza nel nostro tempo» per arrivare alla guerra nel senso prevalente di scontro militare tra Stati (o all’interno degli Stati), interrogarsi sulle cause, strutture, forme, mezzi e dinamiche della violenza e «offrire soluzioni da una prospettiva cristiana» (n.13), significa responsabilizzare a un’etica della pace ciascuno di noi e non solo i nostri governanti.

C’è un aspetto sopra tutti per il quale “Pace a questa casa” merita di essere letto e meditato, ben oltre i confini della Chiesa cattolica tedesca che l’ha elaborato. È il postulato, discusso soprattutto ai nn. 12 e 70-71, secondo il quale nella dottrina cristiana sulla pace il «pacifismo», ovvero il «divieto totale della violenza», e la «dottrina dell’uso legittimo della forza», con l’intento di controllare la violenza, «ridurla al minimo» e infine «superarla», rappresentano due «tradizioni» parallele, che «risalgono agli inizi del cristianesimo e che si sono sempre influenzate a vicenda».

I vescovi tedeschi non negano le «tensioni» che tra tali tradizioni possono sorgere, in particolare se all’interno dell’una e dell’altra non si supera una «mentalità a compartimenti stagni». Ma sono certi che la Chiesa «non può e non deve rinunciare a nessuna delle due», dovendo piuttosto impegnarsi per «mantenerle in un dialogo reciproco» e addirittura farle «lavorare insieme per la pace nel mondo». Non è una scorciatoia per evitare di scegliere tra “profezia” e “realismo” (come dimostra nel testo la diffusa trattazione della nonviolenza, nn. 75-80); è piuttosto la consapevolezza che la Chiesa può essere un «sacramento di pace» solo in quanto «unità nella diversità».

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