mercoledì 10 novembre 2010
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Se su Google digitate la parola cinema, la decima scheda in italiano (su 133 milioni!) che vi appare, recita: «Il cinema è una forma d’arte moderna, nonché uno dei più grandi fenomeni culturali». Eppure, sempre più spesso, ci sono segnali che sembrano dire altro. E cioè che il cinema di oggi è soprattutto evasione. Se guardate le classifiche degli incassi, ai primi posti ci sono solo commedie, più o meno riuscite. Fin qui non ci sarebbe nulla di male. Peccato che questa voglia collettiva di «evasione» e di «divertimento», in un mondo culturale che deve sempre più spesso fare i conti con gli incassi, rischia di stravolgere il senso stesso del fare cinema.«In Italia ormai i produttori vogliono solo commedie perché gli altri film vengono emarginati dal mercato» ha detto poche settimane fa il regista Pupi Avati, presentando «Una sconfinata giovinezza», dedicato al tema dell’amore matrimoniale e dell’alzheimer («dolore e fedeltà di coppia per il cinema sono ormai tabù»). Detto, fatto: nel giro di poche settimane il film di Avati è stato emarginato nelle sale, nel nome del mercato. Ben di peggio – a ben vedere – accade ora al film di Mario Martone, dedicato ai 150 anni dell’Unità d’Italia. «Noi credevamo», che racconta la nascita della nostra Nazione, uscirà domani in sole 30 sale in tutta Italia. Meno dell’1% del mercato, visto che da noi ci sono 2.547 cinema. Non stiamo parlando di un’opera amatoriale, ma di un kolossal costato oltre 6 milioni di euro e sostenuto «dal Comitato Italia 150, dalla Film Commission Torino Piemonte, col patrocinio del Comune di Torino, il contributo del Ministero per i Beni e le Attività Culturali, i fondi Ue della Regione Puglia e dall’Apulia Film Commission». A distribuirlo è la Rai. Infine – ma non è certo un dettaglio minore – «Noi credevamo» è stato uno dei film in gara per l’Italia all’ultima Mostra del cinema di Venezia. Insomma, è una pellicola forte, realizzata da società forti. Eppure ora che deve arrivare al pubblico ha trovato solo 30 sale disponibili. Tutte le altre sono già occupate. Magari da commedie, come quella dei Vanzina con Bova che uscirà dopodomani in 450 sale. Com’è possibile? Per Paolo Del Brocco, direttore generale Rai Cinema: «Il problema della distribuzione è squisitamente di mercato. Che ci possiamo fare se i giovani vanno a vedere solo i cinepanettoni?». Verrebbe voglia di rispondere che si sarebbe potuto aspettare un momento più favorevole. E magari pianificare meglio l’uscita del film. Ma la verità – amara – è che ormai funzionano (quasi) solo «i cinepanettoni». Se un film parla di Risorgimento o di alzheimer, di vecchiaia o di fedeltà coniugale è «out». Fuori. Fuori dal mercato, fuori dagli schemi, fuori dal pensiero dominante. Scoprirlo fa male. Ma questa rivoluzione (perché di rivoluzione si tratta: culturale e sociale) può anche farci bene. Si tratta solo di capire che certi film devono avere una circuitazione diversa. Alternativa. Devono essere portati nelle scuole, nei cinema d’essai e nelle sale parrocchiali; venduti in dvd o sui canali tv a pagamento. Devono essere portati al pubblico con più forza e più furbizia delle solite pellicole. Devono, come certi libri preziosi, essere promossi «con più amore». Solo così sarà possibile salvarli da un mercato che altrimenti li annienterebbe per fare spazio a un cinepanettone.
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