Mai come in questi giorni regna suprema l’incertezza sulla Somalia. Soprattutto da quando, venerdì scorso, il governo di Addis Abeba ha dichiarato che il ritiro delle proprie truppe è stato avviato anche se ci vorrà del tempo per concludere le complesse operazioni di disimpegno nel Paese africano sconvolto da una sanguinosa guerra civile. In effetti, testimoni oculari hanno raccontato di aver visto, in questi giorni, lasciare la capitale, Mogadiscio, almeno tre colonne di camion con a bordo truppe etiopiche. Un chiaro segnale della volontà del premier Meles Zenawi di concludere una missione militare che alla prova dei fatti si è rivelata fallimentare. Le truppe etiopiche che entrarono abbastanza repentinamente a Mogadiscio alla fine del 2006 – con il sostegno della Casa Bianca, sbaragliando i miliziani delle Corti islamiche, che fino a quel momento avevano il controllo di quasi tutto il Paese – fecero allora di tutte le erbe un fascio. Gli invasori infatti costrinsero alla fuga anche quelle componenti moderate del cartello islamico disponibili ad interloquire con la comunità internazionale attraverso personaggi del calibro di Sheikh Farah ' Janaqow', Omar Imam Abubakar e lo Sheikh Sharif Ahmed. Ora, a distanza di due anni dall’ingresso degli etiopici in Somalia, il paradosso sta nel fatto che non solo gli insorti islamici potrebbero riprendere il potere in tempi brevissimi, ma nel frattempo la loro leadership è passata definitivamente nelle mani degli estremisti di ' al Shabaab' che già applicano spietatamente la sharia, la legge islamica – recente la lapidazione di un’adolescente accusata di adulterio – nei territori sotto il proprio controllo. E mentre il Burundi e l’Uganda pongono in queste ore condizioni per il mantenimento delle loro truppe nella forza di peacekeeping dell’Unione africana in Somalia – invocando soprattutto rinforzi oltre ad un mandato più forte – proseguono ad oltranza le scorribande dei pirati somali nelle acque dell’Oceano Indiano e particolarmente del Golfo di Aden. Secondo i dati forniti dall’International Maritime Bureau ( Imb), questi moderni bucanieri hanno attualmente in ostaggio 15 navi ed oltre 300 persone dei vari equipaggi. Nel solo 2008 sono stati oltre mille gli attacchi sferrati contro unità mercantili, per un totale di 120 milioni di dollari di riscatti incassati. Se da una parte è vero che la comunità internazionale sta tentando di arginare il fenomeno della pirateria, grazie all’impegno di navi da guerra che pattugliano costantemente le acque antistanti la costa somala, le Nazioni Unite sono in grave affanno. Anzitutto, per le proprie lentezze burocratiche che hanno vanificato l’implementazione dell’accordo di Gibuti, procrastinando la ratifica del protocollo al 19 agosto scorso, quando a fatica sono stati composti il ' Comitato congiunto per la sicurezza' e un altro di ' alto livello' per le questioni legate alla cooperazione politica, la giustizia e la riconciliazione. L’uscita di scena poi, annunciata nei giorni scorsi, del più autorevole e competente mediatore tra le parti in conflitto, l’inviato speciale del governo italiano Mario Raffaelli, non fa altro che acuire lo stallo in merito alle possibili iniziative negoziali. Intanto, a pagare il prezzo più alto è come al solito la povera gente. In Somalia gli sfollati sono oltre tre milioni, circa un terzo dell’intera popolazione, costretti a vivere in condizioni disumane.