Tra il 5 novembre, giorno delle elezioni americane, e il 20 gennaio, data dell’insediamento del nuovo presidente Trump alla Casa Bianca, il mondo intero sta vivendo un tempo “liminale”. Questo termine - che etimologicamente deriva dal latino limen, che significa “soglia” - si riferisce a una fase di sospensione tra un punto di partenza e una futura destinazione, tra ciò che è stato e ciò che sarà.
Il tempo liminale rappresenta quindi un momento di ambiguità e trasformazione in cui non si appartiene né al vecchio né al nuovo. Un momento di incertezza e smarrimento in cui si è vulnerabili, ma anche aperti alla trasformazione. Associato perciò a emozioni contraddittorie, che oscillano tra la speranza e la paura.
Per quanto disorientante, quello liminale è anche un tempo creativo e potenzialmente liberatorio, poiché permette di mettere in discussione vecchie certezze e ad aprirsi a nuove possibilità.
In effetti, in queste settimane l’intera scena mondiale è in grande fermento. Tutti si stanno muovendo. La Russia cerca di accelerare la propria avanzata per arrivare al fatidico appuntamento in una situazione vantaggiosa. In Corea del Sud, un presidente poco amato e con una chiara vocazione autoritaria, ha cercato di approfittare del vuoto di potere per tentare un colpo di Stato. Fermato (sembra) dalla reazione popolare, non è detto che i recenti sviluppi non finiscano per alterare i delicati equilibri geopolitici di una zona strategica per gli equilibri del mondo intero. In Siria, l’offensiva dei ribelli jadisti ha aggiunto un nuovo punto di tensione globale, con la Russia e l’Iran impegnati a difendere il regime di Assad. Per non dir nulla della Palestina e del Libano, dove i tentativi di arrivare a una tregua devono reggere le quotidiane le provocazioni di chi vuole evitare di arrivare a qualche consolidamento prima dell’entrata in scena del nuovo presidente americano. A due giorni da quella che avrebbe dovuto essere la data del ballottaggio delle elezioni presidenziali in Romania, la Corte costituzionale è intervenuta a cambiare radicalmente le carte in tavola annullando il voto per una «azione ibrida aggressiva russa» durante il processo elettorale.
Tutti attendono Trump. Nell’ipotesi che il nuovo presidente sciolga i nodi che soffocano il mondo intero. Un Trump visto come taumaturgo, capace di muoversi al di fuori degli schemi classici della politica e perciò di trovare soluzioni - che nessuno sa esattamente quali siano - alle intricatissime questioni del nostro tempo.
C’è, in tutti gli attori, la consapevolezza di un mondo che ha ormai perso i propri punti di riferimento. E in questa situazione fuori controllo è paradossale che le scarne speranze di trovare una soluzione ai tanti conflitti oggi in corso siano riposte in un uomo la cui biografia non è certo caratterizzata da una spiccata capacità di dialogo.
Anche perché tutti gli attori si stanno muovendo per arrivare a gennaio nella migliore posizione possibile per lucrare il massimo vantaggio. Il che non fa altro che complicare la situazione e rendere ancora più improbabile lo sblocco che tutti sperano.
Il mondo sta vivendo una sorta di commedia dell’assurdo di Samuel Beckett o Eugene Ionesco. Dove nessuno riesce più a intendersi con nessuno, ma tutti sperano che a un certo punto il gioco si sblocchi a proprio vantaggio. Aldilà delle capacità di Trump - che tutti speriamo siano davvero messe al servizio della pace mondiale - è ben difficile che con queste premesse si arrivi davvero da qualche parte.
Il problema di Trump non è inventarsi una magia. Quello che è chiamato a fare è qualche cosa di molto più concreto e allo stesso tempo ardito: indicare la direzione su cui camminare per arrivare a un nuovo assetto delle relazioni internazionali. L’incertezza regna sovrana anche perché non è chiaro che cosa possa accadere.
Quale sarà la nuova dottrina politica che il presidente americano seguirà: la via dell’isolazionismo o la strada della “nuova grandezza americana”? Prevarrà il senso dell’affare, dell’incasso immediato anche a discapito di principi e valori oppure la pazienza di creare spazi nuovi di dialogo, sapendo che il futuro del mondo sarà comunque contrassegnato dalla convivenza tra culture e interessi diversi? E infine su quali alleanze Trump si baserà: considererà ancora l’Europa come partner speciale oppure punterà su altre regioni del mondo?
Prepariamoci a un mese intenso. Durante il quale potranno succedere ancora molte cose. Anche inaspettate. Speriamo che qualcosa possa davvero muoversi nella direzione della pace. Non solo della guerra.
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