Gentile direttore,
mi riferisco alla sua risposta del 30 aprile al professor Campanini, in merito all’alleggerimento dell’Imu sulla prima casa per le famiglie, proposto dalla giunta Alemanno al termine del proprio mandato. Concordo senz’altro con lei, quando auspica di «tassare in modo più giusto le case di maggior valore, per poter avvantaggiare i nuclei con figli e con meno reddito». Mi pare però che a sinistra, al centro e a destra oggi si ragioni su come preservare il più possibile dall’Imu la prima casa. Bene, alla luce di ciò, non le sembra che la proposta del Pdl di eliminare tale tassa totalmente, per tutti, e addirittura di restituire quanto già versato nel 2012, sia un tantino… demagogica? Dati economici e finanziari alla mano si può considerarla sostenibile ed equa? La mia opinione in merito è, come avrà capito, "no"; ritengo infatti che con questo modo di procedere – ormai da venti anni e sicuramente anche di più – si sia portato il nostro Paese nella drammatica situazione attuale.
Maurizio Pesaresi, Forlì
Penso che abbia ragione lei, gentile signor Pesaresi. Abolire totalmente l’Imu, oggi come oggi, nella situazione data, significherebbe anche abolire (o, almeno, limitare gravemente) una serie di servizi essenziali per la cittadinanza e, in particolar modo, per i più deboli e fragili. Questi servizi sono ormai garantiti dai Comuni non con fondi che arrivano largamente "dall’alto" (cioè dallo Stato centrale), ma quasi esclusivamente "dal basso" ovvero con le risorse frutto dei tributi locali e della buona amministrazione della cosa pubblica. Risorse che devono servire a molte cose, e che – per fortuna dell’Italia e degli italiani – nel settore dei servizi alla persona vengono valorizzate e, per così dire, moltiplicate dalla rete di solidarietà associativa e cooperativa che tiene in piedi quello che viene definito il "welfare sussidiario". Non penso, insomma, che l’Imu possa essere annullata di colpo. È, invece, già oggi possibile – e io spero che si proceda in questa direzione – rimodulare l’Imu, tenendo sempre più conto sia dei livelli di reddito effettivo dei beneficiari (che dovrebbero diventare automaticamente "accertati" fiscali, per evitare che gli sgravi finiscano a furbi che evadono i tributi) sia soprattutto del criterio oggettivo e non manipolabile dei carichi di famiglia, a cominciare dal numero di figli. Credo, poi, che guardando avanti, nell’orizzonte di un Paese fiscalmente maturo (capace cioè di tassare con progressività e secondo giustizia, e impegnato a ridurre ai minimi termini l’infedeltà e la scorrettezza degli evasori), sia un obiettivo sensato quello di cancellare o abbassare fortemente la tassazione sui "beni al sole", tassazione che diventa tipicamente gravosa nelle situazioni, appunto, segnate da massicce evasione ed elusione fiscale. E qui, caro amico lettore, cerco di essere il più chiaro possibile, anche se so di ripetere cose che ho scritto più volte. Ritengo, infatti, che la "prima casa" debba gradualmente tornare a essere esente (o quasi) da imposizioni che non siano quelle legate ai servizi territoriali a vantaggio dell’immobile stesso e dei suoi abitanti-possessori (ad esempio i tributi per la raccolta e lo smaltimento dei rifiuti). Penso, poi, che esistano casi nei quali anche la famosa "seconda casa" risulta equiparabile alla prima. A che cosa mi riferisco? Alle "case di famiglia" (o "delle radici", o "della memoria"…) possedute o ereditate in città e cittadine (o in campagne) di origine da persone che sono state costrette a emigrare per lavoro e che, magari, vivono in affitto nelle zone di attuale residenza. Perché si dovrebbe continuare a trattarle, con aggravio impositivo, come "seconde case" piuttosto che come prime e uniche di proprietà?
Il ragionamento che ho appena proposto aiuta a capire quanto sia complessa e difficile la materia della tassazione degli immobili e come possano evidenziarsi davvero tanti casi meritevoli di considerazione: l’abitazione è una proprietà, ma è anche un diritto basilare, che si contempera con altri nel rispetto delle esigenze della persona e della famiglia e delle comunità in cui si vive. Ecco perché quando si parla di casa bisognerebbe agire sempre con giudizio e sensatezza, mai per risentimento, polemica ideologica o pura propaganda.