mercoledì 9 dicembre 2015
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L’aveva detto, il papa Francesco, che anche le sbarre dei carcerati possono essere trasfigurate nella Porta Santa? L’aveva detto, nero su bianco. E io l’ho visto accadere. Nella lettera sul Giubileo della Misericordia, indirizzata a monsignor Fisichella, c’era questa frase: «Ogni volta che passeranno per la porta della loro cella, rivolgendo il pensiero e la preghiera al Padre, possa questo gesto significare per loro il passaggio della Porta Santa, perché la misericordia di Dio, capace di trasformare i cuori, è anche in grado di trasformare le sbarre in esperienza di libertà».Nella stessa ora in cui il papa Francesco apriva la Porta Santa del Giubileo, in san Pietro, sono stato invitato a celebrare la messa dell’Immacolata nel carcere di Bollate, vicino a Milano. Ho celebrato la Messa con i due cappellani e un folto gruppo di donne e uomini, insieme con il personale di custodia, radunati nel salone-teatro. Non mancava niente, anzi c’era qualcosa in più. Il salone non è informe, come una qualunque palestra (ci sono chiese vere meno accolglienti). Una platea ad anfiteatro, suggestivamente sagomata con assi di legno, per gli uomini, e file ordinate di piccoli seggiolini, semplici e ben disposti davanti all’altare per le signore. Le molte porte attraverso le quali si arriva fin lì sono aperte con gentilezza, senza minimamente far pesare i giusti controlli. Sul fondale dietro l’altare, è sagomata con il polistirolo la sky-line di una città immaginaria: le finestre sono tutte in alto, vicino alla linea dei tetti, che guardano un cielo completamente bianco. A un lato dell’altare c’è un coro, ben diretto, che ha provato con cura ed esegue i canti in modo al tempo stesso molto composto e molto partecipe. Devono aver provato a lungo. L’orchestra è composta di due soli strumenti, una chitarra e i bonghi, che suonano in modo molto appropriato ed elegante.La Messa incomincia con un silenzio caldo e accogliente: è fatto di sguardi, soprattutto. Le letture sono pronunciate con dizione trasparente, e una sorta di partecipazione rispettosa e di affettuosa comunicazione, che mi rapiscono (e io ne ho sentite di letture, alla Messa). Nella meditazione dopo le letture, mi sono sentito di comunicare un pensiero sulla purezza del cuore e della vita che impariamo da questo mistero dell’Immacolata, e dalle pagine della Sacra Scrittura che abbiamo ascoltato.L’Immacolata Concezione di cui parla il Mistero è quella di Maria, che prepara la Nascita di Gesù. Esiste qualcosa di profondo, di puro, di inviolabile nel mistero del rapporto e della sua creatura – che ci riguarda tutti – che dobbiamo custodire a costo di qualsiasi sacrificio. Il libro della Genesi l’ha detto, Dio, anche dopo il peccato, disse che la donna e la sua creatura sarebbero sempre rimaste separate dalle forze del male. Dio mette una barriera di "ostilità" fra il serpente maligno e la generazione dell’essere umano. Se ci affidiamo a questa benedizione, possiamo trovare la forza di riscattarci da ogni altro male. Se rispettiamo questo mistero della nascita dell’essere umano, in tutti i modi, molto ci verrà perdonato. Di lì è passato, e continua a passare il Figlio di Dio. Grazie a questo mistero, non c’è nessun essere umano nel quale non si possa trovare qualcosa di buono, qualcosa di puro, qualcosa di inviolabile, che possa essere tirato fuori con amore e restituito alla vita. A Giuseppe, l’uomo "giusto" al quale fu affidata la Madre del Signore, fu indicata questa via. La sorpresa di un figlio inatteso fu certamente una prova forte, nella sua vita. Egli fu giusto, perché intuì che ci doveva essere qualcosa di profondo, di puro, inviolabile – un mistero di Dio – in quella donna. E non si sbagliò.Se seguiamo la stessa strada, se ci aiutiamo l’un l’altro a cercarla e a percorrerla, la benedizione segreta che sta nel fondo del cuore di ogni uomo e di ogni donna, ci riaprirà la vita. Pensiamo a questo, d’ora in avanti quando apriamo le porte della nostra città, della nostra casa, e persino della nostra cella. Prima della preghiera finale, la figlia di un agente, con la sua famiglia, è venuta all’altare per ringraziare della raccolta di fondi destinata a bambini malati di leucemia. Era commossa, perché i detenuti avevano partecipato, sfidando i pregiudizi e non senza sacrificio. Infine, la benedizione, un augurio, un ringraziamento, un saluto. Tutto quello che ci deve essere, in una Messa cattolica, c’era. E anche qualcosa di più. È vero, dalla porta di una cella può uscire una benedizione che non pensavi nemmeno di avere. Ne sono sicuro, l’ho vista arrivare.
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