L’argomento addotto, quello della «responsabilità oggettiva », cioè puramente formale e del tutto indiretta, di un ministro che era in carica da pochi giorni, ma che viene accusato di non controllare perfettamente tutti i gangli di un ministero assai complesso, è fragile eppure contundente. È comprensibile che venga utilizzato dalle opposizioni, dal Movimento 5 Stelle e da Sinistra e libertà o anche dalla Lega Nord, interessata a distogliere l’attenzione dalle intemperanze intollerabili di Roberto Calderoli. Più difficile, invece, è capire che interesse o che ragionamento spinga settori del Partito democratico a sostenere la campagna per le dimissioni di Angelino Alfano condotta con grande decisione dal quotidiano di proprietà di Carlo De Benedetti, 'La Repubblica'.
C’è chi pensa che far saltare ora il governo Letta giovi a Matteo Renzi, le cui dichiarazioni, per la verità ovvie, sul fatto che l’intesa straordinaria tra Pd e Pdl non è destinata a durare in eterno, sono state interpretate proprio come una specie di preavviso di sfratto per l’inquilino di Palazzo Chigi. Renzi avrà modo di precisare le sue intenzioni meglio di come abbia già fatto, con smentite estemporanee che non hanno dissipato tutti i dubbi. Oggettivamente, però, non si capisce che interesse avrebbe il sindaco di Firenze a creare, in una fase precongressuale in cui è impegnato a presentarsi come leader rinnovatore ma unificante, una frattura con Letta che peraltro, se liberato da impegni di governo, diventerebbe il naturale antagonista di Renzi nella corsa interna, e con buone possibilità di successo.
Più in generale, è abbastanza evidente come non convenga, persino da un punto di vista strettamente utilitaristico, al Pd assumersi la responsabilità di una crisi al buio, come accadrebbe se votasse la sfiducia individuale a Alfano, per giunta pochi giorni prima di una attesissima sentenza, quella definitiva della Cassazione sul procedimento a carico di Silvio Berlusconi, che diventerà in ogni caso un dato nuovo del quadro politico, e che potrebbe persino sconvolgerlo. Considerazioni elementari come quelle esposte o altre più rilevanti, legate all’interesse del Paese per mantenere un minimo di stabilità in una fase in cui non sono certo scomparsi i pericoli di un ulteriore avvitamento della crisi economica e sociale, dovrebbero spingere alla prevalenza di un atteggiamento di responsabilità.
Ma non ci si può nascondere che esiste, ed è assai forte, anche un 'partito della crisi', costituito da chi vede come il fumo negli occhi una sia pur provvisoria stabilizzazione dell’equilibrio su cui è costituito il governo e da chi pensa che nella situazione di tensione e di marasma che si creerebbe si possono ben affermare – a destra come a sinistra – ipotesi di più radicale polarizzazione. È la pressione di questo 'partito della crisi' a trasformare ogni difficoltà e ogni incidente in un casus belli , presentato come quello decisivo per farla finita col governo Letta. Ma sinora, nei casi precedenti, si è riusciti a far prevalere la continuità e la collaborazione, faticose eppure possibili ed utili al Paese. Non è detto che anche questa volta non vada a finire così.