giovedì 9 aprile 2020
Come attrezzarsi per contrastare le campagne che mirano a manipolare l’opinione pubblica
Il virus disinformazione e la modesta verità dei fatti

Ansa

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Caro direttore,

da molti anni a questa parte, il tema delle cosiddette fake news o notizie false ha assunto una certa centralità nel dibattito circa i diritti e i doveri dei giornalisti, delle radio e tv, incluse quelle di servizio pubblico, delle piattaforme online e in particolare dei social. L’informazione e la disinformazione ai tempi del coronavirus costituiscono un ulteriore banco di prova in questo senso. Ad esempio, l’Agcom ha misurato il tasso di disinformazione medica ed epidemiologica sul virus, evidenziandone l’esplosione nei mesi di febbraio e marzo. Se da un lato la percentuale della disinformazione può apparire bassa (5%) rispetto all’informazione totale, dall’altro va osservato che la singola notizia falsa nelle sue brevi giornate di vita diventa “la notizia del giorno”.

Non a caso molti propongono il termine infodemia al riguardo. E non è un caso che i siti specializzati in disinformazione, dedichino quasi il 50% delle loro “notizie” al virus: abbuffate di vitamine, farmaci giapponesi, ingegnerizzazione del virus in qualche laboratorio, sono tutte notizie “che non ci dicono”, “che vogliono nasconderci”. Loro contro noi. I meccanismi informativi e le reazioni emotive e cognitive che gli strateghi della disinformazione puntano a determinare, sono sempre gli stessi che hanno riguardato, in passato, altri argomenti come la criminalità e l’immigrazione, spesso in combinazione tra di essi.

D'altra parte, la bugia è sempre più forte di un ragionamento scientifico. Come ha scritto Hanna Arendt, «le menzogne sono spesso più plausibili, più attraenti per la ragione di quanto non lo sia la realtà, dal momento che il bugiardo ha il grande vantaggio di sapere in anticipo cosa l’ascoltatore desidera o si aspetta di sentire». Al contrario, «la realtà ha la sconcertante abitudine di metterci di fronte all’imprevisto per cui non eravamo preparati». Il ragionamento scientifico non cerca evidenze che confermino le proprie teorie, ma fatti contrari che le falsifichino in senso popperiano, conferendo alle eccezioni almeno la stessa rilevanza che attribuisce alle regolarità perché sa di aver di fronte una realtà complessa e incerta. Oggi sul coronavirus abbiamo fretta di risposte di cui ancora non disponiamo. Ma questa incertezza, anziché farci apprezzare la fragilità e la potenza del ragionamento scientifico ci spinge a domandare certezza e verità semplici. Le notizie false sul coronavirus rispondono a quella domanda di certezza e sicurezza dettate dalla paura, dall’ansia e dalla fretta, cui il ragionamento scientifico non può rispondere. E così i complottisti di ieri e di oggi trovano nuova linfa per la diffusione delle proprie tesi, costruendo o selezionando “fatti alternativi” che confermano opinioni pregresse.

Presunti “articoli scientifici” che poi si scopre non esser stati pubblicati (e quindi non ancora passati dalla cosiddetta “peer review”) o, se pubblicati, sospesi o ritirati dalla pubblicazione; audio e video, su piattaforme online, su complotti di ogni tipo con l’invito “fai girare”; virologi chiamati a discutere in tv (secondo una nozione distorta di pluralismo) con il diffusore di bufale o con il “divulgatore” (che magari, di mestiere, guadagna con la vendita di vitamine miracolose, in un qualche sito o in qualche tv privata).

Il punto, qui non è naturalmente la singola notizia falsa o l’errore. È l’emersione delle cosiddette strategie di disinformazione, cioè di campagne strutturate e organizzate volte a manipolare la cosiddetta opinione pubblica, attraverso i social, ma non solo, per- ché spesso giornali e tv rincorrono proprio le “notizie” che hanno più successo sui social.

Per molto tempo abbiamo creduto che l’incremento delle fonti informative (attendibili o meno) dal lato dell’offerta, fosse sufficiente a perseguire il diritto all’informazione corretta dell’utente, tante volte ribadito da varie Corti costituzionali, inclusa quella italiana. Oggi sappiamo che ciò accadrà solo se a questa esplosione di contenuti si affiancheranno la pazienza, l’attivismo, la capacità critica dell’utente. Cioè una domanda d’informazione proattiva o empowered: una rilevazione recente Agcom–Swg mostra che 6 italiani su 10 non sono in grado di riconoscere una notizia falsa e hanno una significativa “dispercezione” su molti fenomeni socio–economici che li riguardano. C’è, come molti osservano, un tema di istruzione, educazione, elaborazione.

Ma c’è, evidentemente, anche un tema di informazione di qualità e di assenza di meccanismi di confronto volti a smussare la polarizzazione e i pregiudizi. Da questo punto di vista, l’istituzione di un punto focale nazionale di analisi tecnica, di studio e confronto di esperienze, anche di autoregolazione, sul tema della disinformazione online sul coronavirus, istituita per iniziativa del sottosegretario all’editoria Martella, è un’occasione importante di riflessione.

Diventa centrale, in particolare, comprendere se esistano e quali siano i centri che organizzano questi tipi di strategie online, quali siano le motivazioni che perseguono (di tipo politico, commerciale o entrambi), quali strumenti utilizzino (ad esempio attraverso acquisizione ed elaborazione di dati personali), quali effetti conseguano (ad esempio alimentando polarizzazione, echo chamber e così via). Ma si tratta di una sfida che riguarda tutti, non solo le piattaforme on–line, ma anche il mondo del giornalismo e dell’infotainment, anche televisivo che non deve rincorrere le brutte pratiche che incontriamo online.

Si tratta di temi complessi, la cui discussione non ha a che fare con il rischio di comprimere la libertà d’espressione, di chi parla o di chi ascolta, ma con la necessità di comprendere come difendere e promuovere un ambiente informativo corretto, specie su un tema così rilevante come il coronavirus, che tuteli il cittadino–utente, esaltando e preservando proprio quella poliedrica libertà. Tornando, di nuovo alla Arendt, vale ricordare le sue parole: «La libertà di opinione diventa una farsa se l’informazione fattuale non è garantita e i fatti stessi sono messi in discussione». La chiamava la «modesta verità dei fatti». Ed è una modestia di cui abbiamo bisogno.

Commissario AgCom e Università Lumsa

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