I titoli a caratteri cubitali dei giornali locali rischiano di trarre in inganno qualche lettore sprovveduto e frettoloso: «Discarica del clan nei terreni della diocesi». La diocesi è quella di Aversa, in provincia di Caserta, la diocesi del caro e mai dimenticato don Peppino Diana, ucciso dalla camorra nel 1994. Il terreno – proprietà dell’Istituto diocesano per il sostentamento del clero – fu dato in affitto negli anni Ottanta a Nicola Pezzella, ora defunto, perché «lo coltivasse e lo custodisse». Perché vi traesse – lavorando onestamente con il sudore della fronte – pane da mangiare per sé e la famiglia. Le cose sono andate diversamente. Al desiderio di bene perseguito dalla diocesi si è purtroppo intrecciato il male. Il buon grano, seminato con sacrifico e fatica dal clero aversano, è stato avvelenato dalla zizzania della camorra onnipresente e onnivora. Su quest’area, infatti, il pentito ex killer della camorra Roberto Vargas ha rivelato che negli anni passati sono stati occultati enormi quantità di rifiuti tossici e bidoni industriali. La fossa, profonda più di dieci metri, sarebbe larga duecento metri e lunga trecento. Si è cominciato a scavare e, come era prevedibile, a un metro di profondità è cominciato a venire alla luce materiale sabbioso e maleodorante. Materiale radioattivo? La paura comincia a serpeggiare nella zona. Le analisi, affidate all’Agenzia regionale della protezione ambientale, dovranno stabilire con esattezza di che cosa si tratta e da dove provengono quei rifiuti.Che la Campania da decenni boccheggi per l’oppressione dei camorristi e l’incompetenza e la sciatteria di tanti che avrebbero dovuto tutelarne il territorio lo sanno tutti. Che le nostre campagne sono state ridotte a sudicie pattumiere è noto. La mappa, però, di discariche tossiche segrete nessuno la possedeva. Erano voci. Voci che si rincorrevano. Occorreva fare attenzione a scriverne e parlarne, per non essere tacciati di allarmare la popolazione. Nei giorni scorsi, finalmente, qualcuno ha rotto il silenzio. Qualcuno che nell’inferno della camorra ci è stato e si è scottato, ma che, nonostante tutto, ha conservato un barlume di coscienza. Il clan dei casalesi è uno dei più efferati della Campania. Il capo indiscusso, Francesco Schiavone detto Sandokan, in cella ormai da anni, e i suoi tantissimi complici, tra cui l’eterno latitante Michele Zagaria, hanno seminato terrore e morte negli anni passati. Non è vero che è l’omertà a coprire tanti misfatti. La gente non è omertosa, ma stanca e sfiduciata.Mentre scrivo, un lezzo puzzolente e stomachevole raggiunge la mia casa e il mio paese. Quante volte è stato denunciato? Quante volte la gente si è portata al Comune di appartenenza o al comando dei vigili urbani per protestare? E quegli orribili, altissimi roghi, neri come la notte, tossici come il veleno, brutti come la peste, che bruciano da mattina a sera, ammorbando i cittadini, non sono sotto gli occhi di tutti? La risposta? Essendo i nostri paesi agganciati l’uno all’altro, ogni amministrazione scarica sul vicino la responsabilità. I rifiuti urbani, pur essendo ingombranti e stomachevoli, non sono che la punta di un iceberg, la cui parte più pericolosa è celata agli occhi dei residenti. Non le immondizie casalinghe, ma quelle tossiche stanno segnando la nostra condanna a morte. Anche i medici campani ammoniscono: «Attenzione. In Campania sono in aumento le patologie legate all’inquinamento ambientale. Diossina nel latte materno; aumento delle mastectomie per cancro della mammella; aumento dei tumori nei bambini…».Alle denunce dei pentiti deve fare riscontro una robusta volontà politica per prendere di petto questo problema scottante e cominciare finalmente a risolverlo.