mercoledì 30 aprile 2014
Da Bruxelles più semplificazione che rigide direttive
di Giovanni Maria Del Re
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Chi non ha mai sentito parlare della famosa "direttiva sulle dimensioni del cetriolo"? Quella cioè che impone (o meglio imponeva, visto che è stata soppressa nel 2008) che l’ortaggio non possa avere una curvatura superiore a un millimetro su una lunghezza di 10 centimetri. È il simbolo di quello che tanti, ormai anche in Italia, vedono nella Ue: un "mostro" burocratico, che vuole dettare arbitrariamente legge nei più piccoli dettagli della vita quotidiana, con regole bizzarre e incomprensibili. Una visione distorta e ingiusta, che da una parte annulla le responsabilità – cruciali – degli Stati membri, dall’altra una lunga serie di benefici per i cittadini, che ormai tutti danno per scontata e nessuno considera più. La colpa è anche di vari politici – di ogni colore – che non esitano a far credere, per comode ragioni elettorali, che riforme o norme indispensabili per il proprio Paese, ma spesso dolorose, vadano fatte "perché ce lo chiede la Ue".
Partiamo da un primo punto fondamentale: la Commissione Europea non ha alcun potere diretto di imporre nuove regole a suo piacimento. Bruxelles ha solo il diritto di proporre normative, che però devono essere poi approvate a maggioranza qualificata dagli Stati membri nel Consiglio (all’unanimità in materia fiscale), e confermate dal Parlamento Europeo. Proprio il caso dei cetrioli, peraltro, è significativo: la norma sulla "curvatura" – approvata dagli Stati membri, anche quelli che più la criticano – si riferiva solo a definire i cetrioli che possono esser definiti di classe A, e cioè i migliori. Un criterio, oltretutto, che ben prima della famigerata direttiva Ue applicavano già da decenni Paesi come la Germania o la Gran Bretagna. Non a caso, quando nel 2008 Bruxelles – stanca di esser presa in giro per i famosi cetrioli – propose e ottenne dagli Stati membri l’abrogazione della direttiva, vi furono vari Paesi come la Francia o la Spagna che fecero fuoco e fiamme proprio per conservarla.
In particolare, quello che molti dimenticano è che buona parte della "burocrazia" di Bruxelles è in realtà l’obbligo della Commissione Europea – iscritto dai Trattati ratificati all’unanimità da tutti gli Stati membri – di vigilare sul rispetto delle regole Ue approvate da governi e Parlamento. Soprattutto per il mercato unico, le cui norme puntano a far sì che nella Ue tutti gli operatori di mercato siano sottoposti alle stesse leggi e godano degli stessi obblighi in tutta l’Unione. Un esempio classico è la fine degli aiuti di Stato (con varie eccezioni) o la liberalizzazione di tanti servizi. Vuol dire la fine dell’emorragia di soldi dei contribuenti verso carrozzoni pubblici che, in assenza di concorrenza e con la garanzia di aiuti pubblici, funzionavano sempre peggio e costavano sempre di più – in Italia ne sappiamo qualcosa. La fine dei monopoli e le liberalizzazioni – tutte misure, vale la pena ricordarlo ancora , approvate esplicitamente dagli Stati membri – ha portato a grandi vantaggi per i consumatori. Un esempio? I voli low cost. Se oggi possiamo andare da Roma a Londra con 25 euro (un sogno vent’anni fa, quando piuttosto gli studenti squattrinati dovevano ricorrere all’Inter-Rail e a lunghi viaggi in treno) è perché la Ue ha liberalizzato il trasporto aereo, ponendo fine ai monopoli delle compagnie di bandiera e agli steccati nazionali.
Un altro esempio è l’enorme offerta di telefonia, soprattutto mobile, con prezzi sempre più in calo – solo pochi giorni fa il Parlamento Europeo ha approvato la normativa che cancellerà l’odiato roaming all’interno della Ue dalla fine del 2015. Un tempo le tariffe telefoniche erano fisse e venivano arbitrariamente aumentate, senza che l’utente potesse fare alcunché per difendersi. E se adesso per conservare i nostri dati personali le società devono prima chiedere il nostro permesso esplicito, che può esser revocato, è grazie a un’altra direttiva dell’Unione europea. Così come i fornitori di servizi, banche incluse, sono ora obbligati in tutta la Ue a esplicitare tutti i costi, anche quelli nascosti, e a chiedere il rinnovo del consenso dell’utente se le condizioni del contratto vengono modificate. A questo si aggiungono gli immensi risparmi dovuti all’unificazione proprio di procedure burocratiche. Un esempio importante: il brevetto europeo. Fino alla sua introduzione, nel gennaio 2013, un’impresa o un individuo, per ottenere la tutela di una sua invenzione in tutta la Ue, doveva sobbarcarsi costi proibitivi al fine di produrre richieste di brevetto in ogni singolo Stato membro. Adesso la richiesta sarà una sola, valida per tutta l’Unione, o meglio per 26 Paesi – visto che per ora Italia e Spagna non partecipano per una questione di lingue autorizzate (soltanto francese, inglese e tedesco).
Naturalmente, non sono solo rose e fiori, i problemi ci sono, la burocrazia esiste, lo ammette la stessa Commissione Europea. Non a caso il presidente José Manuel Barroso, nel 2007, ha istituito un gruppo di alto livello per la riduzione degli oneri burocratici, guidato dall’ex governatore della Baviera Edmund Stoiber. Obiettivo: ridurre entro il 2012 del 25% gli oneri burocratici. Obiettivo ampiamente superato, almeno secondo la stessa Commissione, che avrebbe raggiunto il 26,1% con la semplificazione o l’eliminazione di numerose normative. «Grazie a questo straordinario risultato – ha commentato lo scorso settembre lo stesso Stoiber –, le imprese europee vengono alleviate di oneri amministrativi per 32,3 miliardi di euro». Tra le misure più recenti, il passaggio a un sistema di fatturazione Iva interamente elettronico, la riduzione del numero di società che devono fornire dati per le statistiche sugli scambi all’interno della Ue, la semplificazioni delle regole contabili per le piccole imprese, con un risparmio stimato a circa 1,5 miliardi di euro l’anno. Sullo sfondo, naturalmente, la questione della ripartizione di competenze tra Stati membri e Unione, quella che si chiama sussidiarietà. Molti Stati membri – Londra in testa, ma in parte anche Berlino – chiedono che più decisioni siano prese a livello locale. Barroso è d’accordo. «Non tutti i problemi – ha detto lo scorso autunno – devono essere regolati a livello europeo. La Ue deve concentrarsi sugli ambiti in cui può apportare un valore aggiunto massimo. Se non è il caso, non dovrà intervenire». In gioco, una modifica dei Trattati che però sarà difficilissima, mettere d’accordo 28 Paesi è un’impresa quasi disperata.
Del resto, non dimentichiamo una cosa: i problemi delle pastoie burocratiche spesso con la Ue non c’entrano proprio niente: sono problemi nazionali. Un esempio fra tutti: l’Italia è il Paese che richiede più informazioni alle imprese nella dichiarazione Iva, con la bellezza di 586 categorie – la media Ue è di 39. Bruxelles vorrebbe una normativa standard europea con 5 categorie base, e la possibilità per gli Stati di aggiungerne un massimo di 21. Un bel sogno, che si avvererà solo se gli Stati membri diranno di sì. Peccato che tra i "dubbiosi" figuri proprio l’Italia, insieme ad altri come Germania e Francia. Se non si farà, la responsabilità rimarrà degli Stati, non certo della Commissione.
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