La tragica vicenda di Eluana Englaro riportata in Friuli per applicare una sentenza di morte ha lasciato sgomento il Friuli. E ci si chiede: perché il Friuli tradotto, ancora una volta, in terra di confine, di morte? È questo il Friuli? C’è una poesia del friulano D. M. Turoldo che ben descrive quel che oggi accade:
«E le crudeltà per gioco / e le deliranti cupidigie / e le 'necessarie' / le inevitabili guerre / in infinite sequenze, a segnare / la marcia forzata / verso la Fine». È così che viviamo anche questa tristissima vicenda. Una marcia forzata per porre fine all’esistenza di una persona indifesa, seppure allo scopo dichiarato di 'liberarla' da una condizione ritenuta insopportabile. E questo con la 'complicità' di una casa per anziani, classificata come 'azienda per i servizi alla persona', trasformata per la circostanza in 'casa della morte'. Con una équipe di volontari capitanata da un medico che ritiene di interpretare non soltanto la volontà del padre (e quella della madre?) ma anche 'il sentire sociale' e che ritiene finanche di mettersi in cattedra e bacchettare la politica e anche la Chiesa. Quasi che il diritto di parola ce l’abbia soltanto il gruppo di supporto alla decisione del signor Englaro, usata come grimaldello per future leggi a favore dell’eutanasia. Cosa c’entra il Friuli con tutto questo? Contrariamente a quello che pensa il sindaco di Udine, c’è una grande maggioranza di friulani che ritengono la sentenza di morte per Eluana né giusta né civile. Non soltanto ingiusta e incivile ma anche foriera di ulteriore degrado della vita sociale. Ma qui occorre dire una verità semplicissima. Sulla vicenda di Eluana sono entrati in campo prepotenti forze ideologiche, anche di segno opposto, unite nello scardinare il sottofondo valoriale della convivenza civile. Nella tragedia di Eluana hanno identificato uno strumento straordinario per fare breccia nel sistema di valori, patrimonio vitale di questa società. A quel punto tutto è saltato o è stato stravolto: la logica, il buon senso e la semantica. Lascia, ad esempio, stupefatti che il medico che dovrebbe accompagnare alla morte Eluana, a precisa domanda sulla sofferenza eventualmente procurata dalla sospensione di cibo e acqua, dica: «Nessuna sofferenza, perché Eluana è morta diciassette anni fa». Allora avevano ragione le Suore misericordine di Lecco, quando supplicavano il papà, che diceva la stessa cosa del medico, di essere conseguente, di lasciare loro questa sua figlia, che ormai – avendola loro da sempre accudita – consideravano di casa. Se Eluana è morta 17 anni fa perché accanirsi con tanta protervia per farla morire davvero? Se Eluana non soffrirà, perché disporre di sedarla? Non così un tempo questo Friuli cantato da Turoldo. Terra difficile sì, martoriata anche da invasioni e guerre, da miseria ed emigrazione, eppure terra amante della vita. Tutti hanno potuto toccare con mano questa verità nella tragedia dei terremoti del 1976. Mille morti, moltissimi feriti, centinaia di migliaia di senza tetto, ma un popolo tenacemente aggrappato alla vita. Un popolo abbattuto ma non disperato, colpito a morte ma non rassegnato. E il Friuli è tornato a vivere e i friulani hanno saputo trasformare le loro lacrime in sudore di ricostruzione e rinascita. E i paesi sono risorti come per miracolo, dove e come prima del terremoto e anche più belli. Una sorta di miracolo collettivo. Dovuto a cosa? Alla straordinaria energia prodotta dalle sue radici umane e cristiane, dove il rispetto e la promozione della vita erano al primo posto. Un popolo, quello friulano, che aveva un alto senso della vita e dunque anche un’attenta e rispettosa valutazione della morte. Si nasceva in casa e in casa si voleva morire, circondati dall’amore solidale dei propri cari. A nessuno veniva in mente di abbreviare il tragitto verso la morte. Quella era una 'pietà' riservata agli animali. Per gli umani c’era un diuturno addestramento alla sofferenza propria e altrui e alla resistenza. E dinanzi alle più grandi difficoltà si veniva educati non alla rassegnazione alla morte ma alla perseveranza nell’amore alla vita. Tutt’altro rispetto a questa marcia forzata verso la morte, incontro al nulla.