martedì 7 ottobre 2014
​Regole territoriali e innovazione nelle imprese le vere sfide
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Mentre si discute ancora intorno ai confini di applicazione dell’articolo 18 dello Statuto dei lavoratori, un esercizio utile potrebbe essere provare a ragionare, con uno sguardo da Sud, su quanto accade nel mercato del lavoro in Italia. Vista da un’area 'periferica' la questione della reintegrazione nel posto di lavoro manifesta intera la sua valenza simbolica e tutta la sua fragilità.  Prendiamo ad esempio una regione come la Calabria: l’ultimo rapporto sull’economia regionale della Banca d’Italia conferma che il numero di occupati si è ulteriormente ridotto, il divario con il resto del Paese e l’Europa nel tasso di occupazione si è allargato, la disoccupazione è cresciuta in tutte le fasce di età, attestandosi su livelli particolarmente elevati tra i più giovani e, tra questi ultimi, è cresciuta l’incidenza dei «Neet», i ragazzi che né studiano né lavorano. Il sistema imprenditoriale è talmente frammentato che l’ambito di applicazione dell’articolo 18 da queste parti si configura come una sorta di riserva indiana: il 98% delle unità locali delle imprese ha meno di 15 addetti.  In un contesto del genere la discussione sull’alternativa tra reintegrazione o risarcimento appare veramente lontana, decontestualizzata, talvolta pretestuosa. Di maggiore interesse ed utilità potrebbe semmai risultare una riflessione più ampia su come creare un 'ambiente' in grado di agevolare la propensione all’assunzione da parte delle imprese e l’emersione di forme di lavoro irregolare, spesso pericolosamente contigue a fenomeni di criminalità organizzata. Con un po’ di gusto del paradosso, potrebbe dirsi che, da queste parti, per promuovere il lavoro non servono 'politiche del lavoro', ma buone politiche industriali, fiscali, creditizie, ambientali, dei trasporti e, non di meno, anche buone politiche organizzative delle amministrazioni pubbliche. Senza di queste le politiche del lavoro si traducono (si sono tradotte) in puro impiego di risorse senza alcuna ricaduta positiva. Assumere questo punto di vista significa incominciare a prendere sul serio almeno due questioni.   La prima riguarda in che modo e misura il tessuto di regole che oggi disciplina le relazioni di lavoro possa o debba tener conto della diversa maturità dei sistemi imprenditoriali locali o settoriali al fine di agevolare strategie di innovazione industriale in grado di assicurare occupazione. Dal punto di vista del giurista, si tratta di inventare modelli e tecniche normative in grado di garantire che livelli omogenei di garanzia possano coesistere con la differenziazione e l’adattamento funzionale delle regole di gestione dei rapporti di lavoro al contesto produttivo, senza determinare una competizione al ribasso tra territori. L’argomento è scottante e anch’esso, come l’art. 18, ad alto rischio di conflittualità tra le parti, ma esperienze in tal senso, pur con tutti i limiti, sono già state conosciute e altre stanno lentamente maturando.   Per il passato, può ricordarsi la stagione della programmazione negoziata: il porto di Gioia Tauro, da tutti ora considerato un punto nevralgico per lo sviluppo del Mezzogiorno, è nato anche grazie alla coraggiosa ma contestata stipulazione nel 1999 di un contratto d’area che prevedeva innovazioni in materia di flessibilità gestionale, modulazione salariale per i nuovi assunti, garanzie di formazione per professionalità del tutto assenti al territorio. Per il presente, si può ricordare il Protocollo con le misure per lo sviluppo economico e il lavoro per la Provincia di Trento del 12 aprile 2014, che tenta di coniugare in un quadro unitario l’azione incentivante delle autorità pubbliche (anche sul piano fiscale, riducendo in modo selettivo l’Irap e l’addizionale Irpef) con quella delle parti sociali. Tali esperienze dimostrano che la differenziazione anche territoriale o settoriale delle regole può non risolversi in una generica richiesta di flessibilità, a condizione però di essere correlata e di risultare funzionale ad una coerente e condivisa strategia di sviluppo locale. In questa prospettiva, di grande aiuto è la valorizzazione del ruolo e della funzione della contrattazione di secondo livello, al fine di consentire interventi in deroga rispetto alle previsioni del contratto nazionale. Pertanto, è necessario sollecitare le parti sociali a cambiare passo e metodo, al fine di riportare il conflitto nell’alveo di modelli negoziali e istituzionali di tipo partecipativo. Altro e diverso è invece il tema della derogabilità delle norme di legge ad opera del contratto collettivo, di primo o secondo livello. Anche questo è da ripensare in profondità, dal momento che la tutela del singolo lavoratore non richiede una necessaria uniformità di disciplina e l’uniformità di disciplina non sempre si traduce in tutela del singolo. Basti pensare alla rigidità della disciplina delle mansioni in contesti aziendali dinamici.   La seconda questione riguarda la necessità di sostenere la sfida competitiva delle imprese promuovendo l’innovazione di processo e la qualità del prodotto, piuttosto che la riduzione del costo del lavoro. Nel mercato globale, continuare a giocare al ribasso significa rinunciare al futuro dell’azienda e ciò vale ancora di più per le produzioni innervate nelle rughe di questo Paese (agrifood, imprese creative e culturali, artigianato artistico e di qualità, filiera turistica, tanto per fare degli esempi), che sono poi le più appetibili sul mercato estero. Per restare alla Calabria, una recente ricerca sul campo, in fase di avanzato svolgimento, ha consentito di evidenziare un nucleo significativo di piccole imprese fortemente orientate all’innovazione di processo e di prodotto e ai rapporti commerciali con l’estero con forti aspettative di crescita nonostante il periodo di crisi. Si tratta di imprenditori che si muovono con singolare spirito pionieristico, ma che trovano essenzialmente tre difficoltà: l’incomprensione (prima ancora delle complicazioni) da parte della pubblica amministrazione, l’inadeguatezza delle strutture materiali ed immateriali, l’impossibile accesso al credito e l’assenza di qualificazioni professionali adeguate.   Pur tra le difficoltà le esperienze positive non mancano, segno che condizioni ambientali migliori potrebbero fare molta differenza. Interessante, ad esempio, l’esperienza di una piccola azienda calabrese, Ecoplan, che produce pannelli ecologici (per pavimenti, pianali e casseforme) riciclando, tra l’altro, pannolini dei bambini, vasetti di yogurt e soprattutto la sansa delle olive, materiale di scarto che certo non manca in una zona ad elevata produzione di olio. Pannelli a loro volta totalmente riciclabili. Green è dunque anche manifattura, non soltanto energia, a patto di investire nella ricerca. Ma si possono egualmente ricordare le iniziative di una miriade di produttori agricoli che giocano la loro sfida competitiva coniugando produzione tradizionali e nuove tecnologie: il settore enologico ne è la dimostrazione evidente, con il recupero di vigneti dimenticati e l’inserimento in azienda di figure professionali altamente qualificate. Peraltro, proprio per le aziende agricole la legislazione più recente cerca di incentivare strumenti di organizzazione a rete, forme innovative di occupazione dei lavoratori, come l’assunzione congiunta, anche promuovendo una riorganizzazione friendly dei sistemi ispettivi e di controllo. La domanda reale è dunque come sostenere questo tessuto, che nello spirito individuale degli imprenditori incontra un potente fattore di sviluppo ma anche un limite significativo, quando non accompagnato da interventi pubblici selettivi mirati alla qualità della crescita. Insomma, la discussione sulla legge di riforma del mercato del lavoro è una buona occasione per ragionare sul serio sul lavoro che c’è e su quello che non c’è in regioni periferiche del nostro Paese, e soprattutto per promuovere una rinnovata attenzione verso i fattori di contesto che rendono più efficace l’azione imprenditoriale. Purché non ci si lasci fuorviare dalla battaglia sull’articolo 18. Visto dal Sud, appare un dibattito molto, molto lontano.
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