L’esperienza umana è piena di ingiustizie, più o meno grandi. Una delle maggiori è forse quella compiuta da chi trasforma il bene in male, insinua che i buoni possono essere malvagi. In questo modo non si rende onore a chi merita, si rovesciano i valori e il senso dell’agire umano. Così è accaduto nei giorni scorsi quando una campagna martellante ha tentato di far passare per privilegiati quanti, nella Chiesa, dedicano la propria vita a servizio degli altri, senza nulla chiedere, né alla Chiesa né allo Stato, se non che gli sia consentito di seguire la propria vocazione. Nel suo primo incontro da presidente della Repubblica con Benedetto XVI, nel novembre 2006, Giorgio Napolitano riconobbe il valore della «tradizione di vicinanza, aiuto e solidarietà verso i bisognosi e i sofferenti che è propria della Chiesa – e per essa della Caritas, del volontariato cattolico, delle parrocchie – e, guardando anche a una comune missione educativa, là dove sia ferito e lacerato il tessuto della coesione sociale, il senso delle istituzioni e della legalità, il costume vicino, l’ordina morale». Questo riconoscimento nobile, esplicito, del capo dello Stato lo si ritrova in ogni analisi della nostra società, in ogni libro della nostra storia, riguarda quella funzione di sostegno, e di supplenza, etica e solidaristica alle insufficienze di uno Stato che può realizzare istanze di giustizia, ma non riesce a trasmettere solidarietà, amore per gli altri, dedizione e abnegazione, dove più ce n’è bisogno. Questa funzione è promossa dalla Chiesa istituzionale perché è tra i suoi compiti originari, ma è realizzata da uomini, donne, giovani, in carne ed ossa, che rendono testimonianza con la propria vita a princìpi e valori evangelici, rispondendo a un moto della coscienza che non conosce avidità né utilità, ma solo sacrificio di sé, rispetto per la dignità di ogni essere umano, in primo luogo di chi non ha forza per agire o voce per farsi sentire. Se dunque si deve parlare di numeri, parliamo delle decine di migliaia di preti, di religiosi e di religiose, che dedicano la vita ad assistere spiritualmente e la popolazione, e che assieme a centinaia di migliaia di giovani (e no) agiscono attraverso la Caritas e le strutture parrocchiali e associative per andare incontro agli indigenti di casa nostra, agli immigrati, a chi non ha famiglia, a chi deve essere sostenuto per bisogni primari dell’esistenza umana come a chi vuole ritrovare se stesso. Tutti sanno che in Italia le strutture di accoglienza cattoliche (e laiche) hanno sin qui costituito uno dei più solidi ammortizzatori sociali per la questione dell’immigrazione impedendo dolorose e pericolose lacerazioni sociali. Sappiamo tutti che in ogni città, o piccolo centro, chiunque ha un parente, un amico, un conoscente che non sa dove andare perché la disgrazia l’ha colpito dalla nascita, o nel corso dell’esistenza, si rivolge a una struttura religiosa con persone consacrate e laici, che danno tutto se stessi per realizzare l’impossibile, che diventa possibile soltanto attraverso l’esercizio (a volte eroico) della carità cristiana. Tutti conoscono questa realtà. E allora è bene renderle onore, e rendere onore a quegli sconosciuti che in silenzio, senza mai apparire, lavorano per i più deboli tra noi, perché la nostra società non perda quel senso prezioso di umanità che il cristianesimo le ha donato. Questi sconosciuti non chiedono nulla perché compiono una scelta pregiudiziale, di dedicare la propria vita a qualcosa di grande che promana dalla propria coscienza, dalla fede in Dio, dalla fiducia nell’uomo. Ma non meritano di essere raccontati come 'evasori'… Un importante uomo politico della sinistra ha detto nei giorni scorsi parole di saggezza quando ha ricordato che, prima di parlare, bisogna andare a vedere cosa fanno nella realtà la Caritas, le parrocchie, le strutture religiose. E ha aggiunto che, se esiste qualche situazione di confine, la si deve esaminare con obiettività. Qualcuno si è subito aggrappato all’idea di una 'zona di confine' per ribadire le false tesi sui privilegi fiscali, ma può stare tranquillo. La Chiesa non ha nulla da nascondere ed eventuali situazioni con profili d’incertezza sono state affrontate ieri e lo saranno anche domani, perché nulla può offuscare o gettare gramigna nel grande campo di amore e solidarietà che la Chiesa coltiva da sempre e rappresenta l’onore e il vanto della sua fedeltà al Vangelo. Dopo tutto quanto si è detto, senza trovare risposta, sulla legislazione vigente e sui contenuti delle attività assistenziali e benefiche, resta una sola cosa importante da riaffermare: chi con fede e coraggio si impegna a favore degli altri, sa che va incontro a incomprensione, a volte a denigrazione (anche se non in dosi massicce come quelle odierne), ma continuerà a farlo perché le motivazioni e le finalità della sua scelta appartengono a un’altra dimensione.