Pellegrino come noi, ecco cos’è anzitutto il Papa: ed è proprio questa l’immagine che Benedetto ha lasciato infine nelle nostre mani. Sei anche tu pellegrino, niente ti appartiene, tutto ti è dato, ogni cosa va chiesta, per ogni dono ringrazierai, lieto: come Pietro quel che ti è chiesto è solo di aver fede in Cristo che a volte pare dormire e invece vuole saggiare la tua fede, e la stana quando il vento strapazza la barca della vita e sembriamo perduti; come Pietro a volte ti pare che la Chiesa sia avviata al «declino» di cui «tanti parlano», ma proprio allora eccola prorompere di nuova vitalità, come «un corpo vivo», «non un’istituzione escogitata e costruita a tavolino ma una realtà vivente»; e, ancora, come Pietro quando si fa giorno ringrazi Dio perché ti ha «creato, fatto cristiano e conservato in questa notte».
Che bellezza le parole di Papa Benedetto nell’ultimo scorcio del suo servizio alla Chiesa: ha confidato persino che la sua preghiera del mattino è la stessa che in tanti abbiamo imparato dalla mamma e nella quale, ancora impastati di sonno, tentiamo di scrollare pigrizie e paure dicendo anzitutto a noi stessi che non ci attende un piedistallo dove saziarci di gratificazioni ma il servizio, la gratitudine, l’attesa a mani aperte e l’offerta, a sera fatta, di quel poco o tanto che avremo messo insieme da «operai nella vigna del Signore». Il Papa servitore e pellegrino – prima e ultima icona incisa sulla cattedra di Benedetto – si è messo a tal punto al nostro fianco da farsi avvertire come un fratello maggiore che ci sta e ci rimane accanto, che accomiatandosi dice semplicemente «buonanotte» non per allergia alla retorica degli addii ma piuttosto perché davvero «non abbandono la croce ma resto in modo nuovo presso il Signore Crocifisso». Non me ne vado, «resto»: e ogni mattina, già adesso che attendiamo il suo successore, basta pensarlo nel nostro stesso semplice atto di offrire le «azioni di questa giornata» nel suo «nascondimento», magari proprio all’ora in cui la sveglia spezza il sonno e ci riporta a una faticata quotidianità.
La vita – ci ha insegnato congedandosi Papa Ratzinger – è servizio che non si aggrappa a nulla perché niente cerca per sé. E la vita di Benedetto si è certamente consumata «per il bene della Chiesa», e per quello stesso «bene» ci dice di aver compiuto la sua scelta aderendo alla nuova e inattesa vocazione del Signore che lo porta con sé per «salire sul monte». Averlo a cuore, e con lui la Chiesa, sentendola nostra più di prima, è il modo più limpido che abbiamo per ringraziarlo. Pregare, chiedere di pregare, lasciar parlare quella ferita che pulsa da quando s’è chiuso il portone di Castel Gandolfo, e che verrà sanata solo dal fumo bianco della Sistina. Nei giorni che ora attraversiamo non c’è spazio per gli spettatori che, come i curiosi davanti a un bizzarro spettacolo, si accalcano attorno ai banditori delle cordate, ai teorici dei complotti, ai vaticanisti fai da te che improvvisano teorie costruite con i pezzi avanzati da tutt’altre partite mondane. Qui c’è di mezzo lo Spirito Santo, che diserta le chiacchiere, ignora le alchimie, spettina congetture e borsini, ma parla chiaro nella brezza di ogni nostro mattino.