Caro direttore,
ho letto l’analisi del costituzionalista Marco Olivetti sul ruolo del capo dello Stato – «Il ruolo del Garante e che cosa c’è davvero in ballo» – pubblicata su “Avvenire” martedì 29 maggio 2018. Dal suo scritto il professor Olivetti lascia intendere che il presidente Mattarella abbia compiuto una forzatura sul suo potere di nomina dei ministri in quanto Olivetti scrive che «in tempi normali la scelta dei ministri spetta infatti al presidente del Consiglio» specificando giustamente i relativi articoli della Costituzione. Poi però giustifica la scelta di Mattarella parlando di «situazione eccezionale» che permette deroghe. E allora la domanda: chi stabilisce che siamo di fronte a una «situazione eccezionale» che consente deroghe alle funzioni proprie del capo dello Stato? Un organo terzo rispetto al capo dello Stato stesso? No, proprio il presidente della Repubblica, sostiene Olivetti. Allora mi passi l’assurdo: se il capo dello Stato ritiene che siamo in una “situazione eccezionale” perché non può dichiarare lo stato di guerra senza la deliberazione delle Camere? Una “situazione eccezionale” potrebbe permetterlo. È un paradosso giuridico e ne sono più che consapevole. Aggiungo un’altra considerazione. Nel suo drammatico discorso di domenica, Mattarella parla di scelta dettata dalla “tutela del risparmio”. Quindi i mercati stanno dietro la sua decisione? Ma non è la politica «la più alta forma di carità»? Oppure adesso lo diventano i mercati e l’economia a cui la politica deve piegarsi? Quante volte la Chiesa, compreso l’attuale papa Francesco, ha ripetuto che la politica non può essere schiava dell’economia e della finanza. Confermo la mia profonda stima per il presidente Mattarella che penso abbia assunto la sua decisione in modo molto sofferto, però mi consenta di dire che non la condivido.
Luigi Del Noce Firenze
Gentile lettore, il direttore mi invita a dialogare con lei. Lo faccio volentieri. Nel mio articolo pubblicato su “Avvenire” di martedì 29 maggio ho richiamato implicitamente la concezione risalente a Carl Schmitt secondo cui il Presidente della Repubblica sarebbe lui stesso il tutore della Costituzione e quella di Carlo Esposito, secondo il quale il Capo dello Stato è il «motore di riserva» che si attiva quando il motore principale (governo e maggioranza parlamentare) entra in crisi o non riesce a soddisfare interessi costituzionali essenziali e incomprimibili. In questa prospettiva è ovvio che sia lo stesso Presidente della Repubblica – in quanto tutore della Costituzione – a giudicare dell’esistenza della «situazione eccezionale» di cui tentavo di ragionare (e che sono ben consapevole che sia opinabile e non auto-evidente). Ho anche precisato, tuttavia, che – a mio avviso – il Presidente, nell’agire in tali contesti, deve comunque operare nei limiti del testo costituzionale: il che nel caso concreto è avvenuto, dato che, formalmente, l’articolo 92 recita: «Il Presidente della Repubblica nomina il Presidente del Consiglio dei ministri e su proposta di questi nomina i ministri». Ove è ben chiaro che il potere formale di nomina (che include anche quello di rifiutare una proposta di nomina) spetta proprio al Capo dello Stato. Quanto ai mercati, rischio di uscire dalle mie strette competenze, ma vorrei ricordare che dietro di essi si celano forze complesse, che tuttavia sono in parte composte dagli stessi cittadini risparmiatori e investitori. Si tratta, comunque, di un elemento di cui ogni buona politica deve tener conto senza diventarne suddita, in ragione del principio di realtà, cui ogni azione politica deve essere commisurata.
Marco Olivetti
Aggiungo qualche annotazione al bel dibattito tra il lettore Del Noce e il professor Olivetti. Ho già scritto personalmente, proprio su “Avvenire” del 29 maggio, a proposito delle conseguenze sulla vita e sui portafogli degli italiani dei «giochi partitici» in corso, sempre più scopertamente: tra Salvini che finge di volere il Governo e cerca nuove elezioni, Di Maio che un giorno vuole il Governo e il giorno dopo una prova di forza piazzaiola e sta imparando che anche (e soprattutto) per il “suo” M5s non è facile costruire alleanze, e infine Renzi che ha messo il Pd alla finestra d’angolo del Parlamento e della scena politica. «Giochi» che hanno reso lunghissima la crisi di avvio della XVIII legislatura e che solo apparentemente sono esplosi sul nome di un ministro euroscettico e filorusso quasi come Salvini. Un pretesto, come ora dopo ora è sempre più evidente. Ma su questo ho già ragionato, e non ci torno su. Molto meglio di me, altri colleghi hanno, poi, dato puntualmente conto sulle nostre pagine degli effetti del caos politico sui risparmi degli italiani e sul bilancio dello Stato (che le nostre tasse tengono in piedi). Caos che non alimenta solo una grave incertezza nei cittadini, ma getta ombre sulla futura affidabilità dell’Italia come Paese indebitato e ha fatto emergere motivati dubbi sulla nostra permanenza nell’euro, nella stessa Ue e persino nel campo delle libere democrazie occidentali. Tali “appartenenze” – piaccia o non piaccia a qualcuno, o anche a più d’uno – sono il frutto dell’adesione dell’Italia a Trattati internazionali costruiti col nostro contributo attivo e ratificati dal nostro Parlamento. Impegni solenni e normativi che hanno – uso un’espressione utilizzata da Olivetti – «occidentalizzato» la nostra Costituzione repubblicana. Domenica 27 maggio il presidente Mattarella ha parlato di tutto questo in modo limpido e piano, dando ragione della sua preoccupazione in modo comprensibile davvero a tutti. E ha agito, da garante, tenendo conto di questo orizzonte, cuore appunto di una «eccezionale situazione». Che, dunque, non è quella determinata solo e soltanto dai “mercati”. Meglio intendersi bene su questo punto. Certo, l’impennata dello spread tra i titoli italiani e i titoli tedeschi, come in altri momenti di fragilità del nostro Paese e del suo vertice di governo, è un fatto e segnala un prezzo ingiusto che stiamo pagando tutti insieme, ma proprio tutti: direttamente o indirettamente. Comunque, su “Avvenire” dello stesso 29 maggio un altro nostro editorialista, Leonardo Becchetti, sotto al titolo «La chiarezza che serve e il precipizio in cui non cadere» ancora una volta ha spiegato compiutamente che «l’Europa va cambiata» e perché «la via migliore non è il default», cioè il fallimento dello Stato e il saccheggio della nostra economia e dei risparmi dei cittadini. Dico “ancora una volta”, perché il professor Becchetti è il primo promotore – come i nostri lettori sanno bene – dell’appello di centinaia e centinaia di economisti per una svolta europea oltre l’«iper–rigorismo» e all’insegna dello «sviluppo sostenibile». Quell’appello per una «nuova Bretton Woods» questo giornale lo ha lanciato e lo sostiene, secondo una visione che discende direttamente dai princìpi della Dottrina sociale della Chiesa e che oggi è ulteriormente illuminata dal magistero di papa Francesco. Le battaglie per far avanzare l’Europa sulla giusta via sono necessarie e urgenti, e anche noi le indichiamo da tempo. Ma per avanzare non per distruggere e tornare indietro.