giovedì 29 luglio 2010
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Invischiate in un miscuglio di rassegnazione e indifferenza, distratte dalle convulsioni interne alla maggioranza e dagli sviluppi delle inchieste giudiziarie su P3 e dintorni, la politica e la società italiane sembrano incapaci di inquadrare nelle sue esatte dimensioni la grande partita che si sta giocando attorno al caso Fiat. Proiettata ormai da anni in una dimensione operativa sovranazionale, che l’accordo dello scorso anno con Chrysler ha solo reso evidente anche ai ciechi, l’azienda manifatturiera che fu nazionale per definizione è pronta adesso a giocare in modo "esemplare" una carta cruciale per il futuro di tutti: la messa in discussione esplicita e il superamento del tradizionale sistema di relazioni industriali, costruito storicamente sul binomio conflitto-contratto.Un obiettivo, questo, perseguito dal numero uno Sergio Marchionne non con intenti ideologici, ma quasi per marcare una volta per tutte il carattere di "extra territorialità" del suo gruppo, non più disposto a restare all’interno di recinti ritenuti, a torto o a ragione, insostenibili. Che tutto ciò possa avvenire senza ricadute significative per il Sistema Italia nel suo complesso è evidentemente impensabile. Stupisce, allora, che per il momento nei palazzi della politica non siano in molti – ministro Sacconi a parte – a prendersene cura con un livello adeguato di attenzione.Il giorno dopo l’annuncio sulla "newco", la nuova società creata appositamente per gestire lo stabilimento di Pomigliano, si è consumata ieri sull’asse Torino-Roma una giornata di incontri e di trattative che, a livello di decisioni concrete, si è rivelata ancora interlocutoria. Ma che intanto è servita all’amministratore delegato di Fiat per ribadire il suo punto di vista con un frasario netto e dai tratti vagamente messianici («Ci sono due sole parole possibili da pronunciare: una è sì, l’altra è no»).Non è escluso che certi toni ultimativi nascondano una intenzione tattica, che le pressioni mediatiche e psicologiche puntino anzitutto ad ammorbidire le componenti sindacali e politiche tuttora contrarie a consentire deroghe al sistema delle regole vigenti, in cambio della certezza di un impegno produttivo consistente. Anche l’ipotesi di non iscrivere la nuova azienda all’associazione delle industrie metalmeccaniche, per sfuggire ai vincoli del contratto collettivo, potrebbe infine rientrare, in presenza di garanzie adeguate sulla continuità dei ritmi lavorativi e sulla rinuncia alla conflittualità facile: in fondo, gli operai Chrysler di Detroit hanno già firmato da tempo l’impegno a non scioperare fino al 2015.Ma anche solo il fatto che uno scenario simile sia stato evocato, ci pare, avrebbe dovuto destare ben altra attenzione. Dagli anni ’50 in poi, l’accostamento Fiat-Confindustria ha rappresentato un binomio pressoché obbligato, una sorta di identificazione implicita e scontata tra gli interessi della maggiore azienda nazionale e quelli della categoria degli imprenditori privati. Al punto di dar vita a ricorrenti polemiche delle piccole e medie imprese, che spesso imputavano a Viale dell’Astronomia un eccessivo appiattimento sulle posizioni di Corso Marconi. La semplice ipotesi di un "satellite" Fiat che non entra in Federmeccanica, la sigla confindustriale di settore, ha insomma del sensazionale.Molti indizi, per altro, inducono a pensare che la vicenda Fiat non si giocherà mai più solo sul terreno simbolico. E che molte tessere, nel mosaico finale dell’industria automobilistica italiana e mondiale, usciranno rivoluzionate: ci auguriamo senza pagare prezzi sociali troppo alti e senza ridestare antichi e tristi fantasmi.Che nulla sarà più come prima, altrove se ne sono accorti da tempo. Domani Barak Obama sarà a Detroit, anche per visitare gli impianti della Chrysler. Ad accoglierlo ci sarà quello stesso Marchionne che il presidente Usa volle già incontrare nella fase decisiva della trattativa con Fiat. Da dove tutto è cominciato. Al volante dell’auto c’è posto per uno solo, ma i cambi di marcia e di direzione – tanto quanto le accelerazioni – vanno sorvegliati con lucida capacità di governo e di rappresentanza dell’interesse comune.
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