Nel contesto dell’attuale congiuntura internazionale, le elezioni che si terranno mercoledì in Sudafrica rischiano di passare inosservate dal punto di vista mediatico, benché rappresentino un appuntamento rilevante nella duplice prospettiva nazionale e continentale. Nel Paese arcobaleno è data ormai per scontata la vittoria dell’African national congress ( Anc), il partito che nell’ultimo scrutinio del 2004 aveva ottenuto il 69,69% dei suffragi, mente le sue due principali formazioni rivali – The Democratic Alliance e l’Inkatha Freedom Party – erano riuscite a rastrellare rispettivamente il 12,37% e il 6,97% dei voti. La novità però questa volta sta nel fatto che l’Anc, il partito dell’intramontabile Nelson Mandela, grande artefice nella lotta contro l’apartheid, ha subito una scissione interna che il 16 dicembre scorso è stata suggellata dalla creazione di un nuovo partito, il Congress of the People ( Cope). A detta degli osservatori si tratta di un fatto politico rilevante che potrebbe smorzare lo strapotere dell’Anc, a cui va riconosciuto il merito di aver traghettato il Paese fuori dal segregazionismo. Ad innescare la rottura nei quadri dirigenti del partito è stata la decisione di chiedere le dimissioni del presidente Thabo Mbeki, fortemente voluta dal nuovo presidente dell’Anc, Jacob Zuma. I secessionisti non hanno gradito questo provvedimento considerandolo ingiusto e altamente destabilizzante per il quadro istituzionale. Sta di fatto che già il 21 settembre scorso, giorno in cui Mbeki ha rassegnato le dimissioni, si è cominciato a parlare di un possibile scisma che si è materializzato con la nascita del Cope guidato da Mosiuoa Lekota, presidente dell’Anc dal 1997 al 2007 ed ex ministro della Difesa. Zuma si dice comunque certo della vittoria alle presidenziali essendo il suo partito accreditato del 60% delle preferenze. Un margine enorme nei confronti degli oppositori anche se la scesa in campo del Cope segna inevitabilmente un passo importante, trattandosi della prima scissione davvero significativa nella storia dell’Anc, da cui scaturisce una forza politica con una struttura capace di andare oltre i limiti razziali, etnici o linguistici. Da rilevare che Zuma è personaggio carismatico e al contempo controverso. Da poco sono caduti i sedici capi d’accusa mossi nei suoi confronti per corruzione, frode, racket e riciclaggio di denaro. Un iter processuale durato otto lunghi anni che non sono riusciti comunque ad offuscare la popolarità di Zuma il quale è anche uscito indenne da un procedimento legale per stupro. In questo delicato scenario, l’obiettivo che si prefiggono i partiti di opposizione – soprattutto il Cope – è impedire all’Anc di avere una maggioranza schiacciante dei due terzi, alfine di scongiurare la tentazione da parte di Zuma di emendare il dettato costituzionale a proprio uso e consumo. D’altronde, in tutte e tre le precedenti consultazioni democratiche – 1994, 1999 e 2004 – l’Anc ha sempre stravinto facendo lievitare al proprio interno una mentalità clientelare e totalizzante quasi vi fosse la presunzione di governare per sempre. La posta in gioco è alta se si considera che il Sudafrica è stato l’unico Paese del continente invitato al recente G20 di Londra. Inoltre, grazie soprattutto a Mandela, ha saputo farsi interprete, almeno idealmente, delle istanze del cosiddetto "Rinascimento africano", un percorso a cui la nuova presidenza non potrà rinunciare facilmente, essendo in gioco la sua credibilità a livello internazionale e il progresso dell’intero continente.