Qua ci stanno quelli che non vedono quasi niente. San Pietro è lontanissima. Lo schermo pure. E lo copre in parte uno degli splendidi pini romani. Qui dietro a Castel sant’Angelo ci stanno cristiani che arrivati dopo dieci, venti ore di viaggio non riescono nemmeno ad affacciarsi a via della Conciliazione. Quelli per cui l’importante è esserci. Partecipare. Perché la vittoria è tutta la sua. Di Dio.Gente bizzarra questo popolo cattolico. Gente che traffica molto con il visibile e con l’invisibile. Come se Gesù li avesse mischiati per sempre. Gente che lacrima in silenzio quando la faccia bellissima di Papa Karol viene scoperta su san Pietro. Affidandogli questa unica vita. Gente che è qui con vestiti dozzinali. Le ragazze bellissime e stanche. Signore di una certa età a sedere per terra. Altre che sono specialiste nell’incunearsi nei muri di folla, con spinte leggere, ma micidiali. Polacchi ovunque. Il camionista del servizio tecnico fa ombra con il suo bisonte posteggiato. In cabina ha un calendario di quelli che non lascian molto spazio alla fantasia, la bandiera di un partito e il ritratto di GPII. Ieri notte Roma era silenziosa e affollata. Si stava colmando. Qui c’è il popolo che non ha posti di prima fila. I ragazzi universitari di Bologna sono provati dal viaggio notturno, ma assistono alla messa con attenzione. Sempre polacchi ovunque.Ci sono momenti di solitudine assoluta nella folla. Vedi, quella persona china la fronte. E come quando Gesù parlava alle folle c’è chi vede e sente poco. Lo ha raccontato un grande romanziere. Come duemila anni fa. Ci si chiede: «Cosa succede adesso ?» «Cos’ha detto ?». Le radioline, i telefonini, gli iPhone rimandano le voci delle dirette radio in molte lingue. Si capisce e non si capisce. Come nella fede. Ne accendono una qui vicino, si pensa: finalmente sentirò. Ma è una radio polacca. Ci sono bambini. Teneteli per mano se no si perdono, attoniti in quella folla di cui babbo e mamma fanno parte. Che famiglia grande. Polacchi ovunque.Da un lato avanzano pugliesi con le sporte di panini. Dall’altro esili indiane nei veli come apparizioni. Olandesi chiarissimi. Ci sono preti spettinati a capo di comunità-drappello che si muovono come puffi dietro strambe insegne. I filippini (o forse coreani?) sono i più rapidi. Riconoscibili professionisti con aria seria vagano tra suorine con aria da pulcini smarriti. Il sole fa fioccare ogni genere di foulard, turbanti o pezze in fronte. Un signore con accento di Aversa o giù di lì s’è fatto una cuffietta, un comico. Polacchi ovunque.Una di loro si passa la bandiera bagnata sugli occhi. Quando il viso di Papa Karol appare sulla facciata o spalto di san Pietro molti piangono. Io piango. Qui si è abitati da moltitudini, come diceva il poeta americano. Essere popolo è la festa di oggi. Io sono noi, io sono anche e soprattutto quelli buffi, sgraziati. Io sono noi ridicoli al mondo. Noi peccatori. E convocati. Il popolo del visibile mischiato all’invisibile. Dell’Infinito incarnato. Solo un Dio poteva fare questa unità con il gesto di morire aprendo le braccia. E con il gesto di risorgere sorridendo ai suoi, pure a Tommaso dalla fede fragile. Il popolo a cui appartengono grandi artisti e oscuri santi, pensatori e poveri sventurati. Il popolo degli sconosciuti e di quelli noti a tutti.Qui tutti riconoscono il viso di Beato Karol – han pianto a vederlo nello stendardo come a vederlo in paradiso – e da oggi desiderano conoscerlo di più. La piazza è piena dei suoi, intorno al suo amico e successore. La piazza e la città che oggi si sono aperte a comprendere il popolo e il cielo.