Dopo tante parole sulla buona scuola, oggi è il giorno delle risposte. L’attesa è grande, così come le aspettative. E per il premier Matteo Renzi, è un banco di prova della sua capacità di rinnovamento, anche se l’annuncio che sarà presentato solo un disegno di legge e non il decreto (dai tempi più rapidi) sembra un sostanziale rallentamento nella marcia. Abbandonati annunci e slogan, oggi dovrà spiegare come in concreto il governo cercherà di risolvere i molti punti critici che ancora impediscono al nostro sistema scolastico nazionale di esprimere tutte le sue potenzialità. Ora è il tempo che le parole cedano il posto ai fatti sul futuro dei precari (ne saranno assunti 120mila o 148mila?), sulla valorizzazione dei docenti (anche se alcuni di questi aspetti dovranno passare dalla contrattazione con i sindacati), sul sistema di valutazione, sulla modernizzazione dei percorsi di studio, sull’apertura ai nuovi strumenti tecnologici, solo per fare qualche esempio. Ma una delle attese più grandi è anche verificare se questa buona scuola, che ha coinvolto l’opinione pubblica italiana in una delle consultazioni on line più ampie e lunghe della nostra storia recente (ben un milione e 800mila partecipanti, 2.043 dibattiti nei due mesi nell’autunno scorso), considererà l’intero sistema scolastico nazionale. Quello nato con la legge 62 del 2000, nota come legge sulla parità scolastica, varata dall’allora ministro della Pubblica Istruzione Luigi Berlinguer, e che prevede un unico sistema scolastico nazionale a cui partecipano scuole gestite dallo Stato e scuole promosse dal privato sociale. Nelle ultime settimane il tema delle paritarie è finito sotto i riflettori con un vasto movimento di opinione e di dichiarazioni politiche, l’ultima delle quali la lettera aperta rivolta da 44 deputati della maggioranza al premier Renzi, di cui abbiamo pubblicato il testo domenica scorsa. Un interesse che solo in parte fa ammenda del ruolo quasi marginale riservato alle paritarie nel documento della buona scuola: pochi accenni soltanto nella parte in cui si parla della valutazione e in quella in cui si affronta il tema del reperimento delle risorse. Eppure, se si vuole dare vita alla buona scuola, questo intervento non può e non deve limitarsi alla sola scuola statale. Si farebbe torto alle migliaia tra docenti, personale amministrativo e dirigenti che ogni giorno in migliaia di scuole paritarie (dalla materna ai vari tipi di scuole superiori) prestano la propria opera per formare le nuove generazioni e dare loro una capacità per affrontare il futuro. In parole povere: che ogni giorno lavorano per dare un futuro a questo Paese. Senza dimenticare che un milione di famiglie ogni anno affronta il costo delle rette per mandare i propri figli nella scuola paritaria. E poi il pluralismo scolastico è un fattore di crescita. Ecco il senso dell’invito di questi ultimi giorni a un intervento anche a sostegno non tanto delle paritarie, quanto della libertà di scelta in campo educativo delle famiglie. Il decreto che sarà varato in consiglio dei ministri conterrà la tanto richiesta detrazione fiscale delle rette? Vedremo, anche se, per fare qualche esempio, sarebbe meglio parlare di una gamma di strumenti, comprendenti anche il buono scuola o la convenzione con gli istituti. In gioco non c’è solo un diritto costituzionale delle famiglie, ma anche la capacità di costruire il futuro del nostro Paese con il contributo di tutti attraverso un approccio pluralista. La buona scuola, se è vera buona scuola, deve essere di tutti e deve coinvolgere tutti. Senza esclusioni.