Solinas
La guerra in Ucraina, oltre a causare morte e distruzione, sta avendo un forte impatto sull’economia mondiale. Uno studio della Banca Mondiale (Bm) pubblicato in questi giorni ha evidenziato che il conflitto tra Kiev e Mosca, con l’aumento dell’inflazione alimentare e dei combustibili e l’inasprimento delle condizioni finanziarie globali, sta affliggendo soprattutto le economie dei Paesi subsahariani. Ma per comprendere questa fenomenologia occorre tenere presente che di questi tempi la speculazione finanziaria sta andando a nozze su tutti fronti. Stiamo parlando di fondi finanziari, banche d’affari e assicurazioni che, giocando al rialzo o al ribasso, fanno sì che i prezzi delle materie prime alimentari scambiate sui mercati dei future e di altri derivati collegati al settore agricolo, siano costantemente sotto il loro controllo nelle contrattazioni, sia alla Borsa di Chicago come nella sede parigina di Euronext, che raggruppa le Borse europee.
Naturalmente il tema della speculazione può essere esteso ad altri beni, quali ad esempio le fonti energetiche (petrolio, gas...) i cui prezzi sono pesantemente condizionati da una volatilità sistemica. Per contrastare questo indirizzo non v’è dubbio che occorre una riforma del sistema creditizio fissando delle regole sulla speculazione e sul sistema bancario. A questo proposito, una delle proposte avanzate già in passato dai paesi emergenti presenti nel G20, Cina in testa, è quella di creare un paniere di monete forti per le contrattazioni internazionali. Attualmente, tutto si regge sul dollaro che da solo dovrebbe sostenere l’intera struttura finanziaria monetaria di riserve mondiali.
Considerando che la crisi finanziaria globale del 2008 è partita proprio dagli Stati Uniti, con il crollo della Lehman Bothers, a seguito della grande speculazione finanziaria dei derivati Otc (Over the counter), sarebbe necessario un accordo tra Stati, almeno nell’ambito del G20, sotto l’egida e il controllo del Financial Stability Board. L’intento dovrebbe essere quello di fare in modo che la divisa statunitense non sia l’unica come base di riserva, ma assieme ad essa anche l’euro, lo yen e le nuove monete emergenti, quelle dei Brics (Brasile, Russia, Cina, India e Sud Africa) che da soli detengono il 18% del Pil mondiale e rappresentano il 42% della popolazione mondiale.
Il problema di fondo è che questa proposta è rimasta sempre nel cassetto e nella migliore delle ipotesi ci si è limi- tati ad «astenersi da svalutazioni competitive sulle monete», come dichiarato nel Seul Action Plan del G20 nel 2010. In realtà, al momento, siamo ancora molto lontani dalla necessaria, improcrastinabile e condivisa riforma del sistema monetario internazionale. Ma attenzione, la crisi ucraina, potrebbe creare molto presto le condizioni per una nuova moneta internazionale alternativa al dollaro. Infatti, lo scorso 11 Marzo si è tenuto a Erevan (Armenia) un meeting sul tema: «Nuova fase della cooperazione monetaria, finanziaria ed economica tra l’Unione economica euroasiatica (Uee) e la Repubblica popolare cinese». Vi hanno preso parte esponenti della Uee – che lega la Russia con altre repubbliche ex sovietiche dell’Asia centrale: Armenia, Bielorussia, Kazakistan, Kirghizistan – e alcuni accademici della Renmin University of China per delineare i termini di un nuovo sistema monetario e finanziario internazionale.
Molti dei partecipanti, alcuni dei quali di alto profilo istituzionale, hanno preso parte all’evento in teleconferenza. Tra questi è spiccata la figura del ministro russo Sergey Glazyev, incaricato dell’integrazione e macroeconomia dell’Uee, che ha dichiarato: «Date le sfide e i rischi comuni associati al rallentamento economico globale e alle misure restrittive nei confronti degli Stati della Uee e della Cina, i nostri paesi dovrebbero intensificare la cooperazione pratica sia a livello di dialoghi regolari di esperti che nell’area di misure e progetti congiunti».
Dello stesso parere è stato Wang Wen, decano del Chongyang Institute for Financial Studies, della Renmin University che ha sottolineato la vicinanza delle posizioni dei paesi Uee a quelle della Cina su molte questioni dell’agenda di sviluppo globale e ha espresso sostegno per l’intensificazione del dialogo eurasiatico-cinese, con particolare riferimento alla collaborazione della Uee nel progetto della Belt and Road Initiative, la Nuova Via della Seta voluta dal governo di Pechino. Già nel 2020 la Cina aveva aumentato di circa il 20% il suo turnover commerciale con l’Uee, mentre l’utilizzo delle monete nazionali rappresentava solo il 15% dell’interscambio totale. Da rilevare che Glazyev, già nell’ottobre del 2020, aveva raccomandato la creazione di nuovi strumenti nazionali di pagamento per evitare l’utilizzo delle «valute di paesi terzi», riferendosi in particolare al dollaro e all’euro, nelle transazioni commerciali e monetarie tra i paesi membri dell’Uee e la Cina. A seguito della discussione di Erevan, su mandato dei rispettivi governi, è stato deciso di sviluppare un progetto per un sistema monetario e finanziario internazionale indipendente. Si presume che si baserà su una nuova valuta internazionale, calcolata come indice delle valute nazionali dei paesi partecipanti e dei prezzi delle materie prime.
Sul tavolo, dunque, vi è la creazione di una «nuova moneta» – basata su un paniere a sé stante di valute, tra cui il rublo e lo yuan – ancorata anche al valore di alcune materie prime strategiche, incluso l’oro. L’iniziativa mirerebbe a blindare il settore orientale del pianeta ed eventualmente coprire altri mercati continentali come quello africano. Secondo Mosca e il cartello della Uee, l’aver congelato le riserve valutarie russe nei conti di deposito delle banche centrali occidentali, da parte degli Stati Uniti, dell’Unione Europea e del Regno Unito ha decisamente minato lo status del dollaro, dell’euro e della sterlina come valute di riserva globali. Questa mossa imporrebbe dunque un’accelerazione nello smantellamento dell’ordine economico mondiale fondato sul dollaro.
La posta in gioco è evidentemente molto alta per l’economista Paolo Raimondi, che da decenni segue con grande attenzione i mercati dei paesi emergenti: «Un conto è ragionare in termini di paniere al cui interno dovrebbero essere collocate le monete forti a livello mondiale, un altro dichiarare la netta separazione tra le valute occidentali e quelle orientali. Ciò non farebbe che acuire – sostiene Raimondi – la divisione tra est e ovest e aggravare ulteriormente la situazione attuale, con l’evidente rischio di una guerra monetaria». Tenendo conto del fatto che sono davvero molti i paesi africani e latinoamericani che intrattengono proficue relazioni sia con il governo di Pechino, come anche con quello di Mosca, essi hanno le carte in regola per rientrare in questa nuova sfera monetaria. L’Africa è la prima ad essere candidata in considerazione della recente nascita dell’Afcfta (Africa Continental Free Trade Area). Si tratta di un trattato, entrato in vigore formalmente il 1 gennaio 2021, che ha sancito la nascita di un’area di libero scambio all’interno del continente africano.
Una cosa è certa: è indispensabile realizzare un nuovo ordine monetario inclusivo. Un’istanza legittima che per i credenti trova la sua risonanza nelle parole di Papa Francesco: «Le questioni sociali ed economiche non possono essere estranee al messaggio del Vangelo».