Colpisce positivamente, nell’iniziativa riformatrice del guardasigilli Orlando, il modo di procedere. C’è una sicura volontà politica, sorretta da una chiara conoscenza dei problemi, nell’affrontare questioni incancrenite da vent’anni di astiose polemiche. Ma questa giusta determinazione è accompagnata da una forte ricerca di ascolto e dialogo. Non il proclamare: faremo così "piaccia o non piaccia"; ma il voler "andar persuadendo", secondo la felice espressione del dialogo tra Pericle e Alcibiade più volte ricordato dal presidente emerito della Corte Costituzionale Gustavo Zagrebelsky. Un metodo sempre giusto in politica; e particolarmente necessario sul terreno della giustizia. Dove i problemi reali che affliggono i cittadini sono stati per anni agitati, di fronte all’opinione pubblica, da chi aveva in mente un obiettivo diverso dalla loro risoluzione. Così suscitando, in chi vedeva questi temi roteati come clave sulla propria testa, un arroccamento difensivo che giungeva, per eccesso, a negare l’esistenza dei problemi. Con il paradosso – più volte denunciato da
Avvenire – di avere questioni reali strumentalizzate da una parte e, dall’altra, eluse in quanto strumentalizzate.Esemplare, in questo senso, il tema delle intercettazioni. Da un lato, si denunciava la vergogna della pubblicazione sui giornali di conversazioni che riguardavano esclusivamente la vita privata delle persone e si indicava, come ricetta, un minore ricorso all’uso delle intercettazioni. Dall’altro lato – sottolineando l’impossibilità di rinunciare a questo prezioso strumento investigativo – ci si dimenticava spesso di individuare il modo per contrastare chi fa uscire e pubblicare queste conversazioni. Mentre è chiaro a tutti che l’unica soluzione consiste nel far convivere i due princìpi costituzionali di libertà nelle comunicazioni e di libertà di informazione: stabilendo limiti, prevedendo regole processuali e deontologiche per farli rispettare e sanzioni per chi quei limiti infrange.Proprio su tale questione, la scelta del ministro di non presentare una soluzione a scatola chiusa, ma di ricercare, partendo dal confronto con editori, giornalisti e direttori, obiettivi condivisi e percorsi per raggiungerli, appare particolarmente incoraggiante. In questa linea di determinazione politica, accompagnata da ricerca di dialogo, va anche letta la decisione di affrontare prioritariamente, nel Consiglio dei ministri del 29 agosto, la velocizzazione del processo civile e la cancellazione dell’arretrato. La rivendicazione di questa urgenza, di fronte alle "priorità distorte" perseguite per anni, è la riaffermazione del primato di una politica consapevole che il collasso del processo civile crea ingiustizie soprattutto ai danni di coloro – piccoli e medi operatori economici, semplici cittadini, italiani e stranieri – per i quali le lunghe attese per la risoluzione di controversie che toccano la vita quotidiana equivalgono a denegata giustizia.