Domenica notte, sono le 3 e mezza e di colpo mi sveglio... Cosa succede? Sarà la solita scossa, che ormai ci perseguita da più di un mese. Al cuore mi sale un pensiero istintivo, come sempre, «Signore pensaci tu, sant’Emidio, nostro protettore contro i terremoti, fai qualcosa ». Però stavolta è diverso, ecco un boato, la scossa ancora dura, non finisce più... Mi alzo, e lo spettacolo appare spaventoso: gli utensili da cucina, i soprammobili, i libri, tutto finisce per terra. Un altro pensiero istintivo: afferro il cellulare e chiamo mia madre, che trovo in preda a una crisi di panico anche perché all’Aquila è andata via pure la luce, e per chi come lei abita ai piani alti diventa pericoloso scendere le scale per mettersi in salvo. Subito mi chiama un amico sacerdote, poi un altro e un altro ancora. Le domande sono sempre le stesse, angosciose: «Come stai? La casa? E la tua chiesa, in che condizioni è?». Esco e trovo alcuni miei parrocchiani fuori, in piazza, a Pìzzoli. Vedo le luci del municipio accese, e comincio a capire che la cosa è veramente seria. Nella mia parrocchia sembra non sia accaduto nulla di grave, e allora mi dirigo verso L’Aquila, a vedere come vanno le cose a casa dai miei cari, come sta l’arcivescovo, e i miei confratelli... Davanti all’ospedale vedo una distesa di lampeggianti che illuminano l’ingresso, e questo non fa che accrescere la preoccupazione. Anche dai miei la gente è tutta fuori, impaurita, con le coperte al collo per il freddo pungente. Faccio salire mamma in macchina, poi passo da un amico. Il traffico della città è in tilt, il centro è inaccessibile, lo spettacolo è quello di una via dolorosa: case crepate, alcune rase al suolo, persone in crisi di panico, c’è chi piange, e viene consolato. Giriamo tutta la notte aspettando un po’ di luce che venga a calmare il nostro cuore. Un girovagare silenzioso, interrotto solamente dai notiziari ai quali ci aggrappiamo per capire fino a che punto questo terremoto abbia voluto colpirci. Un silenzio fatto di tensione, e di preghiera. La notizia di quattro bambini morti ci raggela. «Perché Signore? Perché proprio loro, perché il gigante terremoto ha scelto di combattere con chi non ha forza?». Finalmente si scorge l’alba, la luce, adesso forse andrà un po’ meglio. Ma proprio mentre tentiamo di salire in casa, facendoci largo tra i calcinacci, ecco un’altra scossa. Ora però devo tentare di entrare in centro, voglio trovare il vescovo. Lascio la macchina in stazione e a piedi, attraverso la fontana delle 99 cannelle, cerco di raggiungere il duomo. Appena inizio la salita ecco due frati che conosco: uno salvo per miracolo, l’altro piange per la facciata della chiesa ridotta a metà. Continuando a salire incontro un amico con la gamba che sanguina: in casa l’odore di gas era fortissimo, non riuscendo ad aprire la finestra ha deciso di sfondarla come poteva. Ancora avanti, a fatica. La mia città è spettrale, solo tegole, pietre divelte, palazzi diroccati. Eccomi alla fine in piazza Duomo, ecco un amico sacerdote tutto bianco per la polvere: il soffitto della sua casa è crollato, ha dovuto scendere dalla finestra con un cordone fatto di lenzuola annodate. «Guarda la cattedrale – mi dice, sconsolato – dovevamo inaugurarla a fine luglio per la Settimana liturgica nazionale, invece ora è rimasta solo la facciata... ». E il vescovo, dov’è? Monsignor Molinari ha trascorso la notte appoggiandosi a una delle automobili parcheggiate lì attorno e per il resto consolando la gente. Vado per salutarlo ma non lo trovo: si è lasciato convincere dalla sorella a trascorrere qualche momento nella casa di lei. Sfollato anche lui, penso tra me, come migliaia di aquilani. Vado a vedere la parrocchia dove sono cresciuto: la canonica non esiste più, crollato il presbiterio. E poi la chiesa di San Giuseppe, delle Anime Sante, di Santa Maria Paganica, una sequela di ferite aperte. Davanti alla Casa dello studente sento gridare: chiamate un medico, supplicano, serve analgesico per uno degli universitari rimasti sotto le macerie. Finalmente raggiungo il vescovo, nel giardino della casa dov’è ospite si è creata una piccola Curia d’emergenza, dobbiamo chiamare subito tutti i parroci, capire, sapere. È appena arrivato il responsabile regionale delle Caritas per coordinare gli aiuti, intanto continuano a giungere le telefonate di solidarietà di vari vescovi. Tutti ci abbracciano, e questo rincuora. È il momento di darsi da fare, con un’indicibile ansia nel cuore. E intanto la terra non si ferma, trema, trema senza sosta.