sabato 6 aprile 2013
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Ma sarà poi vero che nel MoVimento 5 Stelle tutto è nuovo, rivoluzionario e inaudito? Non sarà piuttosto che, temperando le astuzie del marketing con un gran senso della scena, il duo Grillo & Casaleggio è riuscito ad assemblare fra loro gli elementi più caratteristici e in apparenza disparati della politica italiana così come si è espressa negli ultimi vent’anni?
Un’operazione per certi aspetti simile a quella del proverbiale dottor Frankenstein, magari non nella corrusca versione originale di Mary Shelley, ma in quella ancora più pessimista e assai più ridanciana dell’irriverente Mel Brooks. Perché – ammettiamolo – la scena alla quale abbiamo assistito ieri, con i parlamentari M5S trasferiti a loro insaputa in un agriturismo fuori porta, non poteva non ricordare le sequenze iniziali di Frankenstein Junior. C’era il torpedone al posto del calesse, d’accordo, ma il clima restava quello. Surreale e fatidico insieme. Le disiecta membra della Creatura, dunque. I pezzi di cui il MoVimento si compone.
La prima caratteristica è l’obbedienza pressoché assoluta che il leader pretende e ottiene dai suoi, spingendosi fino a mettere in discussione la clausola del «senza obbligo di mandato», che della democrazia parlamentare dovrebbe essere un caposaldo. Piaccia o non piaccia, qui il modello è costituito dal partito-azienda: Forza Italia prima, il Popolo delle Libertà oggi. È un berlusconismo senza Berlusconi, ma non meno perentorio nell’identificazione tra fondatore e movimento. Una somiglianza che si riverbera nelle scelte lessicali, come dimostra la predilezione per il termine «traditore», puntualmente riservato a chi nutra o manifesti opinioni non allineate.
Sarebbe però un errore considerare il M5S come un effetto collaterale del centrodestra all’italiana. L’altro aspetto che sta emergendo con forza in questi giorni denota piuttosto piena continuità con quella che, dal 1994 in poi, è stata la parola d’ordine della sinistra: «mai patti con il nemico». Comprensibile come reazione istintiva, forse, ma strategia improponibile nel momento in cui si traduce in scontro senza quartiere, in un continuo «noi contro loro» che nel caso del Pd (e dei suoi antecedenti) affonda le radici nella presunzione di superiorità.
Un atteggiamento che, per il MoVimento, va di pari passo con la celebrazione della gioventù come valore a prescindere, con il paradosso dell’inesperienza spacciata per innocenza e, da ultimo, con l’invocazione di un «tanto meglio, tanto peggio» che riecheggia gli slogan di un antico estremismo. Il M5S è rapidissimo nel capitalizzare il malcontento sul territorio, come fu la Lega Nord nei suoi anni eroici. Ed è riuscito a ridare smalto alle istanze ecologiste che, non troppo tempo fa, parevano appannaggio esclusivo dei Verdi, ormai estinti. Sul piano etico il patrimonio di riferimento è in buona parte quello della galassia radicale, da cui deriva la disinvoltura con cui vengono affrontate le questioni che abbiano a che vedere con la famiglia, la vita e la morte.
Ma è proprio in questo snodo che si produce l’anomalia più vistosa: fra i princìpi professati da Grillo non rimane traccia della cultura del garantismo, della quale gli stessi Radicali si sono, bene o male, sempre professati portatori. Al suo posto c’è invece quella che, tornando per un istante nel laboratorio di Frankenstein, potremmo definire la scossa elettrica che rianima la Creatura. Il principio vitale del M5S è infatti una diffidenza metodicamente coltivata verso tutto e verso tutti, in particolare verso le istituzioni. Un risentimento a cascata, che porta Grillo a diffidare dei parlamentari da lui stesso selezionati, i quali – a loro volta – si muovono diffidenti nei palazzi della politica, mentre un elettorato non meno incline all’esercizio del sospetto osserva perplesso ogni loro mossa.
Con qualche eccezione, per fortuna. Ieri, mentre salivano sul pullman, deputati e senatori non sapevano nulla della loro destinazione. Eppure, almeno per una volta, si sono fidati. Oppure, come al solito, hanno obbedito?
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