giovedì 4 aprile 2013
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Parlando in questi giorni con diverse persone non credenti, ho potuto constatare quanto i primi gesti e le prime parole del pontificato di Francesco stiano toccando il cuore di molti, anche di coloro che sono lontani dalla fede cristiana. Nel seguire, ammirato, questi stessi gesti e queste stesse parole, non ho potuto fare a meno di ripensare a certi passi di un libro laico e stimolante, gli Scritti corsari di Pier Paolo Pasolini. Prima cattolico, poi marxista, ma sempre sinceramente pervaso da una forte spiritualità (il suo 'Vangelo secondo Matteo' – dedicato «alla cara, lieta, familiare memoria di Giovanni XXIII» – rimane a giudizio di molti il più bel film mai girato sulla vita di Gesù), Pasolini in quel libro (che raccoglie articoli scritti nei primi anni Settanta) continua a parlare a suo modo del cattolicesimo come di una delle componenti fondamentali di quell’identità italiana che egli vede soggetta a un vorticoso mutamento. Se la religione cristiana è stata per secoli legata alla civiltà contadina, ora che quest’ultima è stata travolta dall’industrializzazione del Paese, qual è il ruolo della dimensione religiosa? C’è ancora spazio per la fede? Pasolini ritiene che il nuovo Potere (con la maiuscola, come spesso lo scrive negli Scritti corsari ), quello del consumismo di massa, non sappia più che farsene della religione. La omaggia formalmente, ma di fatto essa gli è inutile. E la Chiesa che cosa dovrebbe fare in questa mutata situazione? Ha capito di essere diventata qualcosa di profondamente antitetico rispetto all’imperante etica materialistica ed edonistica? Pasolini invita la Chiesa a «passare all’opposizione»: «Dovrebbe passare all’opposizione contro un potere che l’ha così cinicamente abbandonata, progettando, senza tante storie, di ridurla a puro folclore. Dovrebbe negare se stessa, per riconquistare i fedeli (o coloro che hanno un 'nuovo' bisogno di fede)». Quando dice «negare se stessa», Pasolini intende dire che la Chiesa dovrebbe abbandonare quelle incrostazioni temporali che nel corso della storia hanno spesso rischiato di deturparne il volto. Ciò significherebbe il confronto serrato col potere politico: «Riprendendo una lotta che è peraltro nelle sue tradizioni (la lotta del Papato contro l’Impero), ma non per la conquista del potere, la Chiesa potrebbe essere la guida, grandiosa ma non autoritaria, di tutti coloro che rifiutano [...] il nuovo potere consumistico che è completamente irreligioso; totalitario; violento; falsamente tollerante, anzi, più repressivo che mai; corruttore; degradante [...]. È questo rifiuto che potrebbe dunque simboleggiare la Chiesa: ritornando alle origini, cioè all’opposizione e alla rivolta». Leggendo delle scelte e della storia di personale essenzialità di papa Francesco mi sono venute in mente altre parole 'corsare' dello scrittore friulano: «E poi [...] è proprio detto che la Chiesa debba coincidere col Vaticano? Se – facendo una donazione della grande scenografia (folcloristica) dell’attuale sede vaticana [...] il Papa andasse a sistemarsi [...], coi suoi collaboratori, in qualche scantinato di Tormarancio o del Tuscolano, non lontano dalle catacombe di San Damiano o Santa Priscilla – la Chiesa cesserebbe forse di essere Chiesa?». Il cardinal Bergoglio, parlando agli altri porporati prima di entrare in Conclave, aveva detto di avvertire la necessità che la Chiesa «esca da se stessa» per andare «verso le periferie, non solo quelle geografiche, ma anche le periferie esistenziali». E in periferia c’è subito andato da Papa, per celebrare la Messa in coena Domini con i ragazzi del carcere minorile di Casal del Marmo. Una delle direzioni immaginate da Pasolini. Il quale, quarant’anni fa, lanciava alla sua maniera una semplice provocazione. Eppure forse aveva intuito, da non (più) credente, una verità che oggi papa Francesco sta rendendo comprensibile a molti: cioè che molti aspetti della vita ecclesiale sono frutto di secoli storia e di cultura e perciò valgono, ma che l’essenziale è il depositum fidei , il Vangelo.
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