Oggi, in visita in Calabria, Benedetto XVI va in un monastero di clausura. L’antica Certosa di Serra San Bruno è, oltre a Lamezia, l’unica tappa di questo breve viaggio. A sera, prima di ripartire, il Papa reciterà i Vespri con i monaci. Colpisce la scelta di privilegiare, in una terra tanto assetata di parole di speranza, un luogo chiuso, di silenzio e di preghiera. "Silenzio", del resto, è la parola indicata come tema per la prossima Giornata delle comunicazioni sociali: silenzio e parola.
Ma, per primo, il silenzio. Quella condizione che oggi quasi noi non tolleriamo. Ovunque cerchiamo di accompagnarci con voci e rumore. I ragazzi camminano con gli auricolari, chiusi dentro una loro privata colonna sonora. E cellulari, radio, e tv sempre accese nei bar, e nelle case; e musica nei grandi magazzini, forte, a volte quasi ossessiva. È come se questa generazione di uomini avesse un compulsivo bisogno di rumore; come se ci rendesse inquieti, il silenzio – spazio vuoto in cui, perduti, annaspiamo. Perfino in cima alle montagne capita che della musica ad alto volume, all’arrivo di una funivia, riempia di un chiasso battente valli dove prima c’erano solo il vento e l’eco. Non ci piace, il silenzio. Ci agita. È come se dopo un po’ ci avvertissimo dentro una interiore pressione, una inascoltata domanda; come se si aprisse in noi una vasta piazza deserta in cui ci pare di essere soli; e le nostre certezze e progetti e ambizioni, così sospesi, tremano, quasi non avessero vere fondamenta. Benedetto XVI invece ama il silenzio.
Ne ha parlato spesso, evocandolo come un luogo familiare, un angolo interiore in cui gli è abituale e caro tornare. «Già il fatto stesso di gustare il silenzio, di lasciarsi, per così dire, "riempire" dal silenzio, ci predispone alla preghiera», ha detto pochi mesi fa. Indicando nel silenzio il luogo privilegiato in cui l’Altro – noi finalmente tacendo – fa sentire la sua voce. Il silenzio come un pozzo profondo che gli uomini, anche ignari, hanno dentro; buio eppure splendente, dimenticato eppure fedele. «In interiore homine habitat Veritas», disse Agostino. I santi parlano spesso di questa oasi segreta, cui attingono; per poi tornare alle più concrete e intense opere, in mezzo agli uomini. Il silenzio come un porto sepolto, ma ricco di tesori; dove approdare quando si è stanchi e ci si accorge che noi, da soli, non ci possiamo bastare.
Luogo eletto di un colloquio che ci crea. (Forse per questo teniamo oggi sempre accese radio e tv, anche se non le stiamo ascoltando, come se quel brusio fosse antidoto a un vuoto in cui, dimentichi, non aspettiamo nessuno?). Il silenzio di una certosa, e quello di cui sono stati capaci due milioni di ragazzi, in una piazza immensa, l’estate scorsa a Madrid. Avendo come smesso ogni difesa, tolto gli auricolari, spento i telefoni – calato le armi. Lasciando quindi che nella vertigine di un apparente attimo di vuoto l’Altro parli. Come una domanda, magari: nello scoperta di una radice che ci genera, nello stupore della percezione di un amore. «Prima che ti formassi nel grembo di tua madre, io ti conoscevo», recita il Salmo. Parole che immaginiamo essere state dette, e riconosciute, nel silenzio. Quando l’Io tace e attende, in ascolto. (Assurdo, direbbero in molti, direbbero del tempo presente i maestri e i padroni; non c’è proprio nessuno, al fondo di noi, da cui lasciarsi cercare).
Ma occorre invece tornare a osare frequentare il silenzio, come indica il Papa scegliendo, fra tanti luoghi, in Calabria, un chiostro. «Strutture portanti del mondo», ha definito le clausure, in una catechesi. Colonne, dunque, che invisibilmente sostengono la realtà visibile. Come? Come semplicemente nello sguardo fra una donna e il suo figlio bambino: nella muta eterna certezza di un amore.