Con la fine del lockdown è ripartito il business delle scommesse Il disturbo da azzardo patologico (Dap), è stato inserito, da anni, dall’Organizzazione Mondiale della Sanità, tra le malattie che creano dipendenza al pari di droghe e alcool. In Italia i dati forniti sulla malattia dall’Osservatorio Nazionale istituito presso l’Istituto Superiore di Sanità del Ministero della Salute, evidenziano che, nell’ultimo anno, il livello epidemiologico è cresciuto in maniera molto preoccupante avendo colpito circa 1.500.000 di cittadini (così detti gamblers) ed altri circa 3.700.000 di cosiddetti 'giocatori problematici' (giocatori abituali con tempi di gioco e scommesse molto elevati e quindi prossimi a diventare gamblers). Senza voler fare assolutamente paragoni con la pandemia in atto e le conseguenze che essa comporta in termini di vite umane, intendiamo richiamare l’attenzione sui numeri, sulle difficoltà sanitarie e le difficoltà di trovare strutture adeguate alla cura dei giocatori e sui correlati problemi economici che coinvolgono oltre al giocatore, la sua famiglia, i suoi amici, il suo lavoro, spingendoli verso un indebitamento fuori controllo e che in alcuni casi ha portato al suicidio. I dati relativi al gioco d’azzardo nel 2019 mostrano un ulteriore incremento delle giocate, portandosi alla cifra record di 110,5 miliardi di euro, con un incremento del 3,5 % rispetto all’anno precedente, (fonte 'Avviso Pubblico'). Si conferma la tendenza alla crescita, nonostante, nel periodo, siano entrati in vigore il divieto di pubblicità e l’utilizzo della tessera sanitaria per molti giochi. Di contro, assistiamo alla posizione di uno Stato 'biscazziere' che pur di incassare attraverso l’erario una cifra di circa 10,5 miliardi, non si preoccupa né della salute dei cittadini, né dei costi sanitari e sociali conseguenti. Questi costi ricadono, di fatto, sulle Regioni e sugli Enti Locali e non vengono evidenziati nel bilancio dello Stato; si perdono nelle pieghe della sanità Regionale e dell’assistenza Comunale che, per farvi fronte, in tempi di ristrettezza economica, sono costretti a ridurre i servizi essenziali ai cittadini, impoverendo l’intero sistema.
Se lo Stato facesse una contabilità del fenomeno con costi e ricavi legati alla epidemia, questa avrebbe, nonostante la cifra indicata delle entrate erariali, un saldo negativo. I veri beneficiari, allora, del gioco d’azzardo così detto 'legale' sono le lobbies finanziarie e, nella stragrande maggioranza dei casi, i clan della malavita organizzata, che hanno incassato nel corso del 2019 ben 20 miliardi di euro! Qui occorre fare una triste ed amara considerazione: come si intende fare la lotta al malaffare se poi viene alimentato annualmente con una cifra così cospicua di denaro 'pulito'. Non possiamo pensare che il problema della lotta alle mafie sia solo un problema della Magistratura e delle Forze dell’Ordine, come dimostrano le cronache giudiziarie con arresti, chiusure di sale gioco e confisca dei beni in tutta Italia (da ultimo si vedano le due maxi operazioni degli utimi mesi in Calabria e in Sicilia). Occorre anche sottolineare che la malavita organizzata, grazie alle sale gioco, aggiunge, alle dette entrate, il riciclaggio che consente il trasferimento di denaro nei paradisi fiscali e le innumerevoli entrate per usura; nelle sale gioco sono spesso presenti persone delle organizzazioni malavitose che si pongono come 'benefattori' pronti ad aiutare il povero giocatore perdente a rifarsi. Ancora una volta lo Stato dichiara di voler far la lotta all’usura anche con costi a carico della comunità per prevenzione e risarcimento alle vittime e poi è sempre lo Stato, senza un briciolo di coerenza, di fatto, a favorire l’usura. La recente pandemia ci avrebbe dovuto insegnare, con forza, che occorre porre l’uomo e la sua felicità al centro dell’Universo e cacciare da quella posizione il danaro e l’arricchimento facile.
Come fa lo Stato a continuare ad ignorare e a non voler vedere questa enorme epidemia, che, secondo la relazione del citato Osservatorio dei primi giorni di giugno, ha invitato il Governo a prolungare la chiusura delle sale gioco, avendo registrato che durante la chiusura per lockdown degli oltre 250mila punti vendita dell’azzardo, questa aveva prodotto due effetti positivi: il crollo della spesa dell’attività d’azzardo e la remissione, almeno temporanea, talvolta definitiva, dei disturbi del comportamento correlati e dei problemi da esso indotti sia nei casi di gamblers che in quelli di giocatori problematici.
Lo Stato, con cinica determinazione, ha, invece, immediatamente disposto per la riapertura di tutti i punti vendita di azzardo a partire dal 15 giugno, affidando il rispetto delle norme sui distanziamenti sociali e sull’uso degli altri dispositivi di sicurezza, imposti dal Covid 19, al 'buon cuore' dei gestori, minacciando sanzioni pecuniarie ridicole, di qualche spicciolo, per i trasgressori, senza alcun preventivo controllo sulla sanificazione dei locali, sul mantenimento delle distanze minime e sul numero di persone consentite all’interno rispetto alle dimensioni della sala. La mancata applicazione di tali minime norme potrebbe fare aumentare i focolai di contagio, alla faccia della 'riapertura in sicurezza'. Se lo Stato dispone per affrontare qualche rischio, non sarebbe stato meglio attuarlo per le scuole, le Università e la cultura in genere? Segnaliamo, infine, che, dopo il lockdown, il divieto di pubblicità è stato violato con la ricomparsa di insegne di molti negozi, che vendono azzardo, con richiamo ai marchi internazionali; su internet e negli stadi, non vi sono spettatori, ma la pubblicità indiretta è ricomparsa. Ma non era stata vietata sia la pubblicità diretta che quella indiretta ed allora perché non si interviene? La amara considerazione finale è sempre la stessa: prima i soldi e poi la salute dei cittadini.