Il cuore oltre tutti gli ostacoli. Il cuore è quello grande e paterno di Benedetto XVI che oggi inizia il suo pellegrinaggio in Terra Santa, attraversando confini e varcando muri in una regione tormentata e in un momento particolarmente difficile. Gli ostacoli sono tanti. Ai vecchi odi e rancori si sono aggiunte le recenti ferite della sanguinosa guerra di Gaza, mentre il processo di pace si è fermato, il nuovo governo israeliano ha scelto la via dell’intransigenza e i palestinesi sono sempre più divisi e sfiduciati. Infatti molti si domandano: ma perché il Papa va ad infilarsi in questo ginepraio, tanto più insidioso per il capo di un’istituzione come la Chiesa cattolica che sta ancora negoziando con Israele il proprio status giuridico ed è oggetto di aspre polemiche storiche su Pio XII? La risposta è molto semplice: Papa Ratzinger compie questo viaggio per le stesse ragioni che spingono qualunque altro cristiano a recarsi in Terra Santa.Il suo è il pellegrinaggio del successore di Pietro che intende ripercorrere i luoghi dove si è realizzata la storia della salvezza, non dunque il viaggio di un leader impegnato nell’ennesima mediazione politica. «Pellegrino di pace » , come lui stesso si è definito, non già perché ha in tasca un progetto da sottoporre alle parti in conflitto ma in forza di un’autorità morale che sa parlare a tutti. Non sono poi molte le personalità internazionali che a Gerusalemme possono permettersi di visitare la spianata delle moschee e subito dopo il Muro del pianto, di recarsi a Yad Vashem per rendere omaggio agli ebrei vittime della Shoah e poi di entrare nel campo profughi di Aida a Betlemme dove i palestinesi vivono come rifugiati da tre generazioni. Questo farà il Papa ed il mondo non potrà non tenerne conto. Ma lo scopo principale di questo suo viaggio, la preoccupazione che sarà al centro dei suoi numerosi interventi pubblici così come dei suoi colloqui privati, è una sola: ridare coraggio e speranza ai cristiani di Terra Santa confermandoli nella fede. Già nella sua prima tappa in Giordania affronterà il tema della Chiesa in Medio Oriente dove la presenza dei cristiani continua drammaticamente a ridursi. E, come ha già preannunciato domenica scorsa in piazza San Pietro, si farà vicino al popolo palestinese che sopporta « grandi sofferenze e privazioni » . C’è chi teme che la visita possa servire a migliorare l’immagine d’Israele e, involontariamente, a minimizzare le difficoltà dei palestinesi. Di fatto sia gli uni che gli altri s’aspettano di trarre qualche vantaggio dalla presenza del Papa. Ogni sua parola sarà esaminata, soppesata e valutata con estrema attenzione dalle diverse e contrapposte sensibilità. Ma Benedetto XVI ci ha già dato prova in molte occasioni di non preoccuparsi delle strumentalizzazioni politiche o ideologiche. Questo Papa teologo ha il dono della parola che s’accompagna sempre alla delicatezza e all’umiltà rompendo schemi precostituiti. Ai cristiani di Terra Santa già qualche tempo fa aveva rivolto un messaggio: « Non è saggio spendere tempo a domandarsi chi abbia sofferto di più facendo il conto dei torti ricevuti ed elencando le ragioni a favore della propria tesi» . Per questo il viaggio che oggi intraprende Benedetto XVI ha il sapore della sfida più difficile, quella di chi chiede ed è pronto a ricevere il perdono. Una sfida che è l’essenza del cristianesimo in questi tempi di odio e di violenza.