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Caro direttore,
la “Carta dei valori per il futuro dell’Europa”, sottoscritta da esponenti politici della destra europea, richiede un giudizio differenziato. Non è condivisibile la tavola e la declinazione dei valori e la visione statica ed escludente delle “tradizioni”. Da contrastare radicalmente è la pratica politica condotta nei rispettivi Stati dai leader che hanno firmato la Carta (la «democrazia illiberale», teorizzata da Orbán e purtroppo praticata in molti paesi della Ue, compresi quelli visti da Bruxelles con occhio benevolente, come Bulgaria e Romania). Va, invece, esplorata la questione seria “sotto” la Carta: la tensione tra Costituzione nazionale e Trattati europei.
Sul piano istituzionale, l’esplorazione deve muovere dai due princìpi fondativi dei Trattati: le competenze dell’Unione sono limitate dal principio di attribuzione e quindi tutte quelle non conferite dall’Unione appartengono agli Stati membri (principio di sussidiarietà); la sovranità è ancorata agli Stati nazionali. Ciò corrisponde al fondamento costituzionale dell’adesione italiana: l’art. 11 consente «limitazioni», non cessioni di sovranità dall’Italia.
La costituzione giuridica dell’Ue resta aggrovigliata:
Il principio di sovranità nazionale va richiamato perché solo nello Stato nazionale opera in pieno la democrazia politica. Questa, del resto, è la motivazione con la quale la Corte costituzionale tedesca ha affermato il primato della propria Costituzione sul diritto Ue. Per questo, la procedura di infrazione avviata dalla Commissione contro la Germania va oltre il merito (il programma di acquisti di Titoli di Stato da parte della Bce) e fa riemergere la tensione tra Costituzioni nazionali e Trattati europei e la portata giurisdizionale della Corte di Giustizia Europea: questione rimossa, ma viva, come dimostra in questi giorni lo scontro tra Consiglio europeo e Varsavia, oltre che tra la “Capitale” europea e Budapest. Una questione incrociata dalle Corti supreme europee, compresa la Corte costituzionale italiana, che da 50 anni ha affermato e ribadito che il diritto Ue incontra il limite del rispetto dei princìpi supremi e dei diritti della persona, contenuti nella nostra Costituzione, e ha di recente attivato questo criterio nel cosiddetto “caso Taricco”.
Purtroppo, il passaggio dall’esplorazione sul terreno istituzionale a quella su terreno politico è rischiosissimo: da alcuni anni, la parola “sovranità” è diventata un insulto sulle bocche e nelle penne delle sinistre cosmopolite oppure viene strumentalizzata dalle destre nazionaliste. Ma è un termine costitutivo della democrazia politica, non a caso posto come pilastro dell’Art 1 della Costituzione italiana. Pertanto, i limiti crescenti alla sovranità nazionale degli Stati, se non bilanciati dal carattere democratico dell’entità sovranazionale nel quale viene trasferita, sono limiti della democrazia, e quindi del potere dei cittadini di decidere del proprio futuro. I n tale quadro, i Trattati hanno fatto della Ue un esempio emblematico del «trilemma della globalizzazione» teorizzato da Dani Rodrik, secondo il quale de- mocrazia politica, sovranità nazionale e integrazione economica globale sono reciprocamente incompatibili.
La costituzione giuridica dell’Unione Europea è rimasta aggrovigliata nel trilemma di Rodrik: in parte democratica (il Parlamento, che però ha poteri limitati e si attiva per lo più con risoluzioni più o meno politicamente corrette, ma prive di efficacia giuridica); in parte segnata dal primato dei princìpi liberisti e, conseguentemente, dagli effetti di svalutazione del lavoro e di sistematica erosione del Welfare State determinati dal mercato unico europeo, ancor più tagliente dopo l’ingresso degli Stati dell’Est; in parte, tuttora subordinata alla sovranità degli Stati membri (che trova espressione nella regola dell’unanimità per le decisioni del Consiglio).
Questa tridimensionalità non riesce a svolgere una funzione unitaria coerente e orientata al principio di eguaglianza tra gli Stati e tra i cittadini. Il sistema è nella sostanza guidato da una governance poco accountable verso i cittadini europei, cioè da una guida poco orientata a rendere trasparenti i processi deliberativi e la rendicontazione sulle azioni sviluppate. I l deficit di democrazia e di socialità che caratterizza l’Unione è dovuto alle decisioni prese dagli Stati nel corso della costruzione europea, fino al Trattato di Lisbona oggi in vigore. I Trattati voluti dagli Stati possono essere cambiati dagli Stati medesimi, ma nella Conferenza sul futuro dell’Unione, avviata dalle istituzioni Ue, si è espressamente esclusa la discussione su una loro revisione, in particolare su richiesta della Germania, la nazione ha tratto e trae i maggiori vantaggi dalla situazione odierna.
Per l’insieme delle ragioni che si sono esposte, riteniamo che vada affrontato il corto circuito democratico sul quale la “Carta dei valori per il futuro dell’Europa” interviene con la soluzione confederale, legittima, finanche auspicata da studiosi e forze politiche progressiste, ma difficilmente praticabile per gli Stati dell’Eurozona dopo l’avvio della moneta unica. Come si può virare verso una Confederazione di Stati sovrani, quando uno dei principali strumenti della sovranità nazionale, la moneta, è federale, governata da un’istituzione federale come la Banca centrale europea (Bce), dimostratesi nella durissima fase del Covid all’altezza delle banche centrali dei più forti o antichi Stati sovrani, come Stati Uniti, Regno Unito, Giappone e Cina?
In ogni caso, l’indisponibilità alla soluzione confederale non risolve il corto circuito, corrosivo e inquietante per tutti, anche per gli “europeisti” doc. È controproducente tentare di esorcizzarlo con raffiche di scomuniche anti-sovraniste. Vanno, al contrario, affrontate domande ineludibili. È possibile sul piano storico-politico disinnescare il corto circuito democratico con la costruzione di una sovranità europea sostitutiva delle sovranità nazionali? La solidarietà e i legami sociali propri della dimensione nazionale, espressione della cultura, della lingua e della storia di ciascun popolo e condizione necessaria del Welfare State, sono attivabili a scala dell’Unione o dell’Eurozona attraverso una scelta legittimata democraticamente? Oppure, arrivano per determinismo funzionalistico?
Le risposte sbagliate dei “sovranisti” non giustificano la rimozione dei quesiti. Suggeriamo, in particolare a chi, come noi, ha a cuore la cooperazione solidale e l’integrazione possibile tra gli Stati e i popoli europei, di esplorare il sentiero della demoicracy, (letteralmente: governo dei popoli) termine ormai diffuso tra gli studiosi, secondo una prospettiva distante sia da un europeismo astratto, acritico e fideista, sia da un sovranismo condannato dalla storia. Fassina è economista e parlamentare di Leu Salvi è giurista ed è stato parlamentare e ministro © RIPRODUZIONE RISERVATA