sabato 22 giugno 2013
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Sul crinale, senza dubbio. Non importa quanto erto o scivoloso possa essere: la volontà è di percorrerlo senza paura e senza cedere alla pericolosa tentazione di vederlo come un precipizio. Fin dal titolo «Sul crinale. Cristiani e musulmani tra secolarismo e ideologia», così evocativo, scelto dalla Fondazione Oasis per il suo decimo convegno internazionale tenutosi recentemente a Milano, si è voluto indicare un percorso di comprensione del rapporto fra religione e contemporaneità. A parlarne, si sono trovati decine di esperti, il comitato scientifico di questa fondazione internazionale – pensata, voluta e presieduta dal cardinale Angelo Scola – che si occupa di dialogo interculturale e interreligioso fra mondo occidentale e mondo islamico.Un rapporto che sembra divergere al punto da rendere impossibile un approccio unitario: troppo Dio lungo la sponda sud del Mediterraneo, troppo poco in Europa. Le rivoluzioni arabe hanno portato al potere o fatto emergere una pluralità di movimenti dell’islam politico e del salafismo, spesso chiusi in una visione solipsista, ripiegatisi attorno a un’interpretazione dogmatica dell’islam, trasformato in un’ideologia che nega spesso la pluralità dell’interpretazione e delle fedi. Lungo le nostre sponde, al contrario, una secolarizzazione che trova insopportabilmente invadente un Dio che pretende di continuare a varcare le soglie dei propri templi, per camminare nella società e discutere di cose pubbliche. E scandalosa una dimensione della religiosità che non si lasci appiattire sull’orizzonte dell’immediato o del meramente privato.In realtà, quanto è emerso con chiarezza nei due giorni di discussione è proprio la necessità di uno sguardo unitario, che rifugga le comode etichette di Occidente ateo e Oriente (troppo) religioso: il "meticciato" delle due sponde del Mediterraneo – per utilizzare un termine caro a Scola – l’interdipendenza politica ed economica ci spinge a ripensare il rapporto fra mondo contemporaneo e religione, con uno sguardo olistico che prescinde dai confini regionali. Certo, proprio le difficoltà del «dopo primavera araba» ci raccontano dei guasti della religione quando essa diviene ideologia politica invadente e totalizzante, l’unica fonte percepita di legittimità. Una difficoltà che si traduce facilmente in conflitto verso i non-musulmani, ma anche e soprattutto dentro l’islam, lungo le linee di faglia dell’opposizione sciiti-sunniti o fra dogmatici e liberali.Ma allo stesso tempo, lo smarrimento e le paure di un Occidente colpito da una crisi economica che ha messo in crisi la fiducia così tardo-ottocentesca nel progresso materiale e nella dimensione economica dell’uomo, devono indurre a una riflessione – che rifugga dalla pura astrazione intellettualistica – in relazione "all’esistenza e all’esistente". Riscoprire il coraggio del porsi una domanda di senso sul vivere, e sull’esistenza di una direzione di cammino. E questo sforzo oggi trascende l’appartenenza a una fede, la dimensione dell’essere occidentale od orientale, gli steccati e le percezioni identitarie. Non solo perché il mondo è sempre più frammischiato, ma poiché – a un livello superiore – il bisogno che si fa strada è quello di una nuova interpretazione culturale del mondo e della sua dimensione religiosa. Una sfida che può essere raccolta solo se si allarga l’orizzonte del «noi», andando al di là di una visione statica della propria identità. Il che non significa annacquare la nostra identità religiosa; ma anzi riscoprirla e proporla di nuovo, consapevoli di una pluralità che impone con forza la questione dei diritti e delle libertà del singolo. Con la certezza che i tanti sentieri per risalire il crinale del rapporto fra religione e contemporaneità non sono sbarrati da burroni invalicabili. Quelli stanno tutti nelle menti e nei pre-giudizi in cui indugia spesso l’uomo.
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